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di DINA D'ISA Sono davvero pochi 17 anni per una ragazzina che da sola deve affrontare il gelido inverno del Missouri, prendersi cura della madre malata e dei fratelli minori, ma soprattutto andare a caccia del padre scomparso.

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Mala data del processo si avvicina e se il padre di Ree non si presenterà in tribunale, la loro casa verrà confiscata. Così, la ragazza, per salvare la famiglia, sopporterà il freddo, la fame, subirà la violenza e la superstizione di una comunità che si mantiene raffinando la cocaina. Questa coraggiosa adolescente è la protagonista del fortunato romanzo di Daniel Woodrell, «Un gelido inverno», trasposto sul grande schermo da Debra Granik in un film vincitore del Sundance, candidato a 4 premi Oscar e dal 18 febbraio al cinema. Su tutto dominano i caratteri forti, come il tema della livida stagione invernale che avvolge (ma non piega) il coraggio dell'adolescenza. In un contesto volutamente miserabile e infausto, il linguaggio diventa cupo e il fascino della comunità montana sfida gli elementi oscuri di gente che vive distillando whisky o producendo anfetamine. Il film non fa però leva su una storia realistica o sulla denuncia sociale dei ceti indigenti di una provincia montuosa. Ma tutto si concentra sul thriller naturalistico. La protagonista (Jennifer Lawrence) esplora (se stessa e gli altri) fra le nebbie e la desolazione del Missouri, dove la minaccia è sempre dietro l'angolo aumentando la suspense, mentre l'ossessione della ricerca del padre da parte della giovane Ree prende i contorni di un incubo denso di misteri, spettri e risvolti inquietanti. L'intensa Jennifer Lawrence (che si è di recente aggiudicata il premio Marcello Mastroianni alla Mostra di Venezia per il film di Arriaga «The burning plain» con Charlize Theron e Kim Bassinger) affronta il ruolo senza tentennamenti. Si cala in questa fiaba dark come in un girone infernale, scavando a fondo e offrendo la possibilità agli altri attori di mostrare l'ossatura della cultura popolare americana. Oltre alla drammatica storia di formazione, la regista racconta l'altra faccia dell'America opulenta e esageratamente soddisfatta, esaltando il mondo immaginario della provincia a stelle e strisce. Sfilano così situazioni che sembrano uscire dalle pagine di cronaca nera, tra villici solitari, drogati pericolosi, ritrovamenti improbabili negli oscuri fondali della palude, come quel sacchetto di plastica contente resti umani con sopra scritto «Have a nice day». Mentre, tra una scena da brivido e l'altra, riecheggia il ritmo delle struggenti ballate di musica country.

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