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“La Corea del Nord ha già deciso per la guerra”. La soffiata dell'ex Cia

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«La situazione nella penisola coreana è più pericolosa di quanto non lo sia mai stata dall’inizio di giugno del 1950. Può sembrare eccessivamente drammatico, ma crediamo che, come suo nonno nel 1950, Kim Jong Un abbia preso la decisione strategica di entrare in guerra». È quanto scrivono l’ex Cia Robert L. Carlin e l’esperto di nucleare Siegfried S. Hecker, entrambi all’Università di Stanford e entrambi protagonisti di missioni in Corea del Nord, in un articolo pubblicato sulla rivista di analisi sulla Corea del Nord ’38 North’ intitolato ’Kim Jong Un si sta preparando alla guerra?’. «Non sappiamo quando o come Kim intenda premere il grilletto, ma il pericolo - scrivono i due in un articolo dell’11 gennaio - è già ben oltre i livelli di avvertimenti di routine a Washington, Seoul e Tokyo sulle ’provocazioni’ di Pyongyang. In altre parole, non vediamo i temi della preparazione alla guerra nei media nordcoreani apparire dall’inizio dello scorso anno come una tipica spacconata della Corea del Nord».

 

 

«Evocare lo spettro della decisione di Pyongyang di andare verso una soluzione militare, in effetti, di dare l’avvertimento della guerra, in assenza di prove ’concrete’ è complicato. Tipicamente, ci si scontrerà con l’argomento ormai di routine che Kim Jong Un non oserebbe fare un passo del genere perché sa che Washington e Seoul distruggerebbero il suo regime se lo facesse. Se questo è ciò che i politici stanno pensando, è il risultato di una fondamentale interpretazione errata della visione della storia di Kim e di un grave fallimento dell’immaginazione che potrebbe portare (sia da parte di Kim che di Washington) a un disastro».

 

 

Per Carlin, ex capo della Divisione Asia nord-orientale presso il Bureau of Intelligence and Research del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, dove ha preso parte ai negoziati tra Stati Uniti e Corea del Nord, e Hecker, ex direttore del Los Alamos National Laboratory e professore emerito della Stanford University, «l’incapacità di comprendere la storia della politica nordcoreana negli ultimi 33 anni non è semplicemente un problema accademico. Sbagliare la storia ha implicazioni pericolose per cogliere l’importanza di ciò che abbiamo di fronte ora». Washington e Seoul, rilevano, «si aggrappano alla convinzione che la loro alleanza, sostenuta da una deterrenza ’ferrea’, manterrà Kim sulla traiettoria dello status quo, forse con qualche piccola provocazione. C’è la convinzione, del tutto comprensibile, che i simboli sempre più frequenti della nostra intenzione di rappresaglia terranno a bada il Nord, così come la nostra convinzione, spesso dichiarata, che se il Nord attacca, il contrattacco distruggerà totalmente il regime nordcoreano. Tuttavia, nella situazione attuale, aggrapparsi a queste convinzioni può essere fatale». La Corea del Nord, sottolineano, «ha un grande arsenale nucleare, secondo le nostre stime di 50 o 60 testate lanciabili su missili che possono raggiungere tutta la Corea del Sud, praticamente tutto il Giappone (compresa Okinawa) e Guam. Se, come sospettiamo, Kim si è convinto che, dopo decenni di tentativi, non c’è modo di coinvolgere gli Stati Uniti, le sue recenti parole e azioni puntano verso la prospettiva di una soluzione militare utilizzando quell’arsenale». Uno scenario catastrofico.

 

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