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Case green, giusto cancellare il diktat Ue

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Cicisbeo
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Tutto rinviato, auspicabilmente oltre le calende greche, sulla follia delle case green: il cosiddetto trilogo (Parlamento, Commissione e Consiglio europeo) ne riparlerà a dicembre, ma con gli organi comunitari in scadenza è presumibile che non se ne farà di nulla: l’accordo sull’applicazione della direttiva Ue che prevede di rendere a emissioni zero entro il 2050 tutti gli edifici dei Paesi europei si è rivelato un’equazione impossibile, trattandosi di un obiettivo irrealistico e assolutamente irraggiungibile, soprattutto in Italia. Il nostro governo si è giustamente opposto alla direttiva eco-talebana della Commissione perché si trattava di un autentico attacco all’interesse nazionale. L’Italia infatti si basa da tempo su tre pilastri, anche se i parametri europei (e quelli delle agenzie di rating) non ne tengono conto: il patrimonio pubblico (e artistico) ereditato dal nostro splendido passato, il risparmio delle famiglie e la casa, bene-rifugio di tre quarti dei cittadini. Ricordo che il 60% del risparmio delle famiglie è investito negli immobili, e che il 61% di questi è in classi energetiche considerate inadeguate.

 

 

L'Ue dunque o vive sulle nuvole o non è neppure in grado di discernere le differenze sostanziali che esistono fra i suoi Paesi membri, mettendo sullo stesso piano i nostri tanti Palazzi sotto vincolo architettonico e quelli con i tetti a strapiombo del Nord Europa. È mancata del tutto, insomma, la doverosa attenzione al contesto italiano, peculiare per ragioni storiche e di conformazione geografica. Non solo: sono tre milioni e mezzo gli immobili italiani in classe G, o comunque quelli che dovrebbero fare un doppio salto di classe energetica, il che significa che bisognerebbe investire un capitale dieci volte superiore rispetto a quello attuale. Una follia che arriverebbe a costare fino a sessantamila euro a famiglia. Sarebbe servita dunque una valutazione di percorso pragmatica per capire quanto questi obiettivi siano fattibili, considerando che in Italia si dovrebbe intervenire su ben due terzi degli edifici residenziali. È un bene dunque che questa direttiva venga alla fine archiviata, perché devalorizza il nostro patrimonio immobiliare, scoraggia l'acquisto di case, riduce la stima del valore della ricchezza nazionale che si compone in buona parte, appunto, di cespiti immobiliari, svia gli investimenti privati verso la speculazione finanziaria.

 

 

Questo ottuso dirigismo, peraltro, avviene in concomitanza con l’aumento dell’inflazione, il rialzo dei tassi della Bce, i prezzi dei carburanti e dell'energia lasciati alla mercè delle piazze borsistiche, con un graduale impoverimento del ceto medio. La transizione ecologica è indispensabile, ma serve una politica flessibile per non trasformare il risparmio energetico in una mannaia per milioni di italiani attraverso un attacco irresponsabile all’economia e al nostro patrimonio edilizio: le famiglie italiane non possono essere impoverite dalle smanie dell’ecologismo ideologico. Basta pensare che secondo l’Ance non sarebbero in regola con le nuove norme oltre nove milioni di edifici su dodici, dato che il 74% dei nostri immobili è stato realizzato prima dell’entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica. Lo stop alla direttiva ha dunque evitato non solo una improvvida fuga in avanti, ma un autentico salto nel buio.

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