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Patto di stabilità, sintonia tra Italia e Francia. Ma la Germania non gradisce

Gianni Di Capua
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La discussione sul nuovo Patto di stabilità è avviata e con essa la polemica tra il partito del rigore e quello della spesa, capeggiati dalle posizioni di Berlino e Parigi. Per la prima volta i ministri delle Finanze dei Ventisette ne hanno parlato attorno al tavolo del Consiglio Ecofin a Lussemburgo, anche se il dibattito vero e proprio si svolgerà in autunno, quando i tempi per approvare la riforma si faranno più stringenti in vista della scadenza fissata entro l’anno. Sarà in quell’occasione che emergeranno le due impostazioni che hanno caratterizzato le linee della politica di bilancio in Europa negli ultimi decenni, anche se questa volta è più probabile che il quadro si ricomponga, sia per le lezioni apprese dalla crisi pandemica e da quella ucraina, sia perché è nell’interesse di tutti dotarsi di nuove regole. E farlo prima che tornino in vigore con lo scadere della clausola di salvaguardia, che ha sospeso il Patto per tre anni. I rigoristi, guidati dalla Germania, sono tornati alla carica e sono usciti allo scoperto con una lettera che contesta la proposta della Commissione. Tra i firmatari (Repubblica Ceca, Austria, Bulgaria, Danimarca, Croazia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia e Lussemburgo) non compare l’Olanda, che in questa fase ha abbandonato la sua vecchia veste rigorista e si è fatta promotrice di un compromesso con i paesi del Sud già nella fase di consultazione prima della proposta della Commissione, con un documento stilato assieme alla Spagna.

 

 

Gli undici paesi contestano una «sorveglianza multilaterale» troppo sbilanciata a favore del ruolo della Commissione europea e chiedono parametri quantitativi in termini di riduzione del debito, più stretti e vincolanti. Per il ministro tedesco, Christian Lindner, l’obiettivo di ridurre annualmente dell’1% il rapporto debito-Pil per i Paesi maggiormente indebitati e di mezzo punto per quelli con indebitamento più contenuto «non è troppo ambizioso» e servirebbero «un approccio multilaterale e una salvaguardia comune, e non troppi margini per la Commissione». Parole che per il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, sono come fumo negli occhi: «La nostra risposta è molto chiaramente "no"», perché queste regole «le abbiamo provate, non hanno funzionato e hanno portato a effetti disastrosi per l’Ue».

 

 

L’Italia, con il ministro Giorgetti, si è detta aperta alla discussione e comprende l’importanza di ridurre il debito («condizione essenziale per la stabilità, la sostenibilità e la crescita»), un percorso già avviato nel Def e che andrebbe accelerato, secondo le stime della Commissione. Tuttavia, chiede che «gli investimenti considerati prioritari anche ai sensi del Next Generation Eu», come quelli per l’energia, la transizione verde e digitale, «abbiano una considerazione e trattamento particolare», avendo una «durata limitata e di quantificazione già accertata». Per il titolare del dicastero di via XX Settembre, che ha avuto anche un incontro bilaterale con il ministro francese Bruno Le Maire e un «amichevole confronto» sulla riforma del Patto, è importante poi che «gli aspetti metodologici e tecnici non prevalgano rispetto alle considerazioni politiche». La presidenza svedese Ue si dice fiduciosa del raggiungimento di un compromesso nel prossimo semestre, il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ricorda però che «il tempo non è illimitato» e che «se vogliamo essere preparati per il ciclo di bilancio 2025, rassicurare e aumentare la fiducia nei mercati, abbiamo bisogno di un accordo nei prossimi mesi».

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