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Draghi a Tripoli, sinistra all'attacco per i migranti: "Il premier chiama salvataggi i lager in Libia"

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C'è voglia "di fare, di ripartire e in fretta" ma il cessate il fuoco in Libia è "il prerequisito" per la collaborazione tra Italia e Tripoli. La visita del premier Mario Draghi, accompagnato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è una delle prime mosse di politica estera del governo e ha un significato ben preciso, perché l'Italia considera strategici i rapporti con la Libia dove mira a recuperare terreno dopo il decennio di conflitto.

Una visita lampo, mezza giornata in cui il premier ha incontrato il primo ministro del governo di unità nazionale Abdelhamid Dabaiba, il presidente del consiglio presidenziale Mohamed Menfi, poi si è recato all’Ambasciata d’Italia a Tripoli per un saluto al personale e all’Ambasciata di Grecia in Libia, in occasione della sua riapertura alla presenza del Primo Ministro Mitsotakis.

"Questa è la mia prima visita all'estero ed essa stessa è la dimostrazione dell'importanza di un legame storico tra due paesi" in un "momento unico per ricostruire un'antica amicizia e una vicinanza mai interrotta", ha confermato Draghi al termine dell'incontro con Dabaiba che "è stato riconosciuto e legittimato dal parlamento e sta procedendo alla riconciliazione nazionale". Una prospettiva incoraggiante per completare la stabilizzazione della Libia, sia sul piano della sicurezza che della ricostruzione del tessuto sociale ed economico. Nell'incontro, "straordinariamente soddisfacente", Draghi ha ribadito che "il prerequisito è che il cessate il fuoco continui e venga strettamente osservato". La road map prevede la fuoriuscita di tutti i combattenti e mercenari, l’attuazione di fondamentali riforme socio-economiche volte a garantire servizi essenziali alla popolazione e opportunità di sviluppo, nonché l’avvio del processo di riconciliazione nazionale, nella prospettiva dell’auspicata tornata elettorale del 24 dicembre 2021.

La posta in gioco è alta. "Penso che la questione più importante sia la riattivazione dell'accordo firmato nel 2008 per la Libia in tutti i suoi aspetti", ha sollecitato Dadaiba. Il trattato di amicizia, partenariato e cooperazione prevedeva una serie di progetti comuni, a partire dalle opere infrastrutturali come l’autostrada costiera e il ripristino dell’aviazione civile, ma anche l’aumento dell’interscambio culturale ed economico – per riportarlo ai livelli di un decennio fa –, il rafforzamento dell’autonomia energetica e della rete elettrica, su cui "prevediamo un aumento di collaborazione dell'Italia" ha spiegato il premier libico definendo "molto importante" il ruolo dell'Eni.

In ballo anche il contrasto al terrorismo e al traffico di essere umani, il potenziamento della sanità, e la sfida della gestione dei flussi migratori come problema europeo e internazionale. Dadaiba ha sottolineato che i due paesi "soffrono e si trovano ad affrontare una sfida comune che è il problema dell'immigrazione clandestina, che non riguarda solo Libia che è un paese di passaggio né solo l'Italia, ma l'Ue, la Libia e la comunità internazionale". Il richiamo all'Unione europea è arrivato anche da Draghi, che ha rimarcato come il problema "non nasce solo sulle coste libiche ma si sviluppa anche sui confini meridionali, e l'Ue è stata investita del compito di aiutare il governo libico anche in quella sede".

Il premier ha espresso "soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia ma il problema non è solo geopolitico, è anche umanitario, e in questo senso l'Italia è uno dei pochi, forse l'unico Paese che continua a tenere attivi i corridoi umanitari". Parole che hanno suscitato polemiche a sinistra. "Draghi esprime soddisfazione per il lavoro della Libia sui salvataggi? Evidentemente gli sfugge la differenza tra salvataggio e cattura", dice il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. "Era inaccettabile quando lo dicevano i suoi predecessori. È inaccettabile anche oggi che a dirlo è lui", twitta Matteo Orfini del Pd.

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