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Migranti, ancora morti al largo della Libia

Silvia Sfregola
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Ennesima strage nel Mediterraneo. Sono almeno 31 le vittime del naufragio di alcuni barconi di migranti avvenuto oggi al largo delle coste libiche. Tra loro molti bambini, persino alcuni neonati. Non è chiaro di quante imbarcazioni si trattasse. Una di queste - lo si vede nelle immagini pubblicate su Twitter dal fondatore dell'organizzazione non governativa Moas, Chris Catrambone, che oggi ha partecipato ai soccorsi - è andata a fuoco. La guardia costiera ha coordinato in giornata almeno 15 operazioni, centinaia le persone recuperate in acqua, oltre un migliaio quelle salvate complessivamente. In un primo tempo sembrava che il numero di corpi recuperati fosse 34, ma Catrambone ha fatto sapere che il conteggio ufficiale si è fermato a 31. Quasi tutti i corpi sono stati raccolti dalla nave del Moas. Impossibile dire con certezza quanti siano i dispersi. Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale delle migrazioni, il numero di migranti che ha perso la vita nel Mediterraneo nel 2017 ha già raggiunto quota 1530, almeno 275 sono stati i morti solo questo mese. Ieri l'inviata del Tg3 Roberta Serdoz, imbarcata sulla nave di una ong, ha documentato la violenza delle autorità costiere libiche, filmando spari partiti dalle motovedette. "La guardia costiera libica si è avvicinata a dei barconi in difficoltà, ha minacciato le persone a bordo e ha sparato dei colpi in aria, mettendo in pericolo la vita delle persone e scatenando il panico", denunciano oggi Medici Senza Frontiere (Msf) e SOS Mediterranee, che hanno assistito ai fatti. Le équipe di Msf e Sos Mediterranee erano state avvertite della posizione dei barconi in difficoltà e avevano distribuito giubbotti di salvataggio per iniziare il soccorso. Oltre 20 persone erano state portate a bordo della Aquarius, la nave di ricerca e soccorso gestita in collaborazione dalle due organizzazioni. Gli altri passeggeri erano rimasti sul barcone, mentre le équipe di soccorso erano andate ad assistere un'altra imbarcazione che era in una situazione più critica. Nel frattempo si è avvicinata un'imbarcazione armata della guardia costiera libica. "Due guardacoste libici, in uniforme e armati, sono saliti su uno dei gommoni. Hanno preso i telefoni, i soldi e altri oggetti che le persone portavano con sé", racconta Annemarie Loof di Msf. "Le persone a bordo si sono sentite minacciate e sono entrate nel panico, erano terrorizzate dal comportamento aggressivo dei guardacoste libici". A bordo si è scatenato il panico e oltre 60 persone sono finite in acqua. "Quando i libici ci hanno puntato le armi contro, chiedendoci di dare loro tutti i nostri soldi e i cellulari e dicendoci di saltare in acqua - racconta un sopravvissuto del Gambia agli operatori di Sos Mediterranee - abbiamo fatto quello che ci hanno chiesto e molti di noi si sono buttati. Non avevo paura, preferivo morire in mare che in Libia". Le motovedette della guardia costiera libica potrebbero anche essere quelle restituite dall'Italia. Sulla base del memorandum Italia-Libia firmato a Roma il 2 febbraio scorso, l'Italia ha accettato infatti di restituire alla guardia costiera libica 10 motovedette che le erano state donate ai tempi del colonnello Gheddafi. Le prime quattro sono state consegnate a maggio, le altre sei dovrebbero partire a giugno. Preoccupazione viene espressa da Amnesty International. "Se gli stati membri dell'Unione europea - dice l'organizzazione umanitaria - intenderanno proseguire ad addestrare la Guardia costiera libica e a fornirle imbarcazioni, dovranno istituire un sistema rigoroso di monitoraggio e valutazione dell'impatto di tale cooperazione sui diritti umani". "Ancora morti nel Mediterraneo, soprattutto bambini. Nello stesso giorno sono stati uniti nel ricordo e nella preghiera i ragazzi uccisi nell'attentato di Manchester e i bambini trafficati e morti al largo della Libia", commenta il direttore generale della Fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego, al Sir. "Le vittime di entrambe le stragi sono nostri figli e fratelli. Difendere e salvare la vita - afferma il presule - soprattutto dei ragazzi e dei giovani, deve rimanere la preoccupazione al centro della politica europea. Se la sicurezza deve interessare tutti, oggi forse dobbiamo scegliere la pace come condizione fondamentale di sicurezza, corridoi umanitari per la sicurezza dei richiedenti protezione internazionale, cooperazione e sviluppo per difendere la libertà di non partire e di vivere nella propria terra. Ogni semplice chiusura, ogni condanna senza impegno - conclude mons. Perego - rischia di aggravare la situazione".

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