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Trump resiste, la Clinton manca il ko

Donald Trump e Hillary Clinton

Paola Tommasi
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più niente da perdere. Presentati per quello che sei e chi ti vuole ti vota se no amen. È così che hai vinto le primarie e se dal partito ti abbandonano avremo più spazio per mettere gente nuova. T'interessa di più il giudizio di fighetti come Robert De Niro e i Bush o il sentimento di tutti quegli americani che ti seguono nei comizi e se ne fregano dei tuoi rapporti con l'altro sesso?». È l'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, la vera anima della campagna elettorale di Donald Trump, ed è grazie ai suoi consigli che il candidato repubblicano domenica notte è risorto ancora una volta dalle sue ceneri dopo quarantotto ore di fuoco per vecchie dichiarazioni poco gentili nei confronti delle donne. Insieme, Trump e Giuliani, hanno definito la linea: rassicurare la base, per poi sfondare nell'ultimo confronto del 19 ottobre e battere Hillary Clinton in volata l'8 novembre. Trump dà il meglio di sé quando è sotto pressione e questo è senz'altro il momento più difficile della sua campagna. D'altronde, è da come si superano i momenti di crisi che si capisce la tempra degli uomini. Specie se l'obiettivo è fare il presidente degli Stati Uniti. Il peggior dibattito della storia americana, è stato definito quello di domenica notte, e in effetti è cominciato proprio male, con i due candidati che non hanno voluto neanche stringersi la mano, ma che è migliorato via via che dagli insulti si è passati a discutere di contenuti. Fino allo scambio reciproco di complimenti, con Hillary che ha riconosciuto il valore della famiglia di Trump e Trump la tenacia e la tempra da combattente di Hillary. Lo stesso candidato repubblicano, di cui ci si aspettava il crollo in diretta mondiale, era più sciolto dopo la prima mezzora, a dimostrazione che il suo vero punto di forza è il programma. La Clinton è stata oggettivamente più brava, più preparata, interloquiva di più con il pubblico che formulava le domande. Le donne in generale sono più precise, più studiose, quindi perde di significato chiedersi ogni volta chi ha vinto il dibattito: lei ci sa fare meglio. Il punto su cui occorre riflettere sono le visioni dell'America e del mondo che i due candidati offrono. Gli americani vogliono più tasse o meno tasse? Più immigrati o meno immigrati? Più sicurezza o meno sicurezza? Un presidente che si è presentato al voto popolare per quello che è, con i suoi pregi e i suoi difetti, o una presidentessa che si è candidata più per soddisfare le sue ambizioni di carriera che per fare gli interessi del paese? Provata chissà quante volte prima, centrale nella preparazione del dibattito per Hillary Clinton è stata la citazione di Michelle Obama: «Se Trump scivola in basso nelle cose che dice, noi teniamo l'asticella alta». Detto, fatto: nello stesso momento su Twitter il portavoce di Hillary per gli affari internazionali, Jesse Lehrich, mandava a quel paese il candidato repubblicano (testuale: «@realDonaldTrump go fuck yourself») e la sua consulente per i social media, Emmy Bengtson, commentava il fuoco degli occhi della Clinton verso Trump: «Lo odia», ha scritto. Da dopo la convention di Cleveland di luglio, per mesi il candidato repubblicano ha lavorato su se stesso per essere più presidenziale, più istituzionale, come anche nel primo dibattito tv, in cui Hillary lo attaccava e lui continuava a parlare di quello che vuole fare per l'America senza cedere alle provocazioni. Ma se Trump ha moderato i toni, ci hanno pensato gli altri a far riprecipitare il dibattito nel volgare. A conti fatti chi è, quindi, che tiene basso il livello della campagna elettorale? La stessa Hillary Clinton, che negli ultimi mesi non ha più fatto comizi, solo cene di raccolta fondi, commentava su Twitter il video incriminato di Trump dicendo che uno così non può diventare presidente degli Stati Uniti. Dimenticando che uno molto peggio di così, che delle donne ha abusato, presidente degli Usa è già stato: suo marito Bill. E lei lo ha coperto. Al contrario di Melania Trump, che invece dalle parole del marito ha preso le distanze, pur riconoscendogli la stoffa da leader. Così come, proprio sulla sua relazione con Monica Lewinsky, Bill Clinton ha mentito davanti al popolo americano, tanto da subire l'impeachment. Accusa, quella di dire bugie, comune ai due coniugi: a Hillary, infatti, non viene perdonato di aver cancellato 33.000 mail dal suo account privato di posta elettronica, e di aver nascosto la verità agli americani su temi che vanno dai rapporti con i finanziatori della Fondazione di famiglia all'attentato di Bengasi in cui ha perso la vita l'ambasciatore in Libia Christopher Stevens. A questo si riferisce Trump quando dice che se non fosse candidata alla casa Bianca sarebbe già in prigione. Domenica notte, Hillary ha reagito con un grande sorriso anche a questa dichiarazione, dimostrando ancora una volta di essere una vera professionista della politica: fa questo mestiere da tanti anni e recita benissimo la sua parte. Ma forse è proprio questo il problema.

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