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Il ministro Adolfo Urso convoca i sindacati sul carovita

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Con gli stessi soldi ora si compra meno. Gli stipendi non salgono così rapidamente come i prezzi così l’inflazione abbatte i consumi. Equazione semplice ma ignota a Francoforte, dove la Banca centrale europea, continua ad affossare l’economia aprendo lo spazio a una recessione profonda. Che la macchina della spesa dei consumatori si fermasse più o meno bruscamente era situazione assolutamente prevedibile. Finito il cuscinetto di liquidità creato dalla pausa forzata del Covid le famiglie hanno iniziato a toccare con mano la perdita del potere d’acquisto per effetto dei listini aggiornati con frequenza all’insù. Il conto del sacrificio lo ha fatto la Confesercenti che ha calcolato come nel secondo semestre dell’anno la spesa di beni di consumo e servizi dovrebbe scendere di 3,7 miliardi di euro, secondo le stime di Confesercenti. L’atterraggio dell’economia potrebbe essere dunque molto più duro del previsto. Così il governo si muove e punta a coinvolgere i sindacati nella definizione di una strategia di tutela dei redditi. Ieri i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl sono stati convocati per il prossimo 22 settembre a Palazzo Chigi a un incontro presieduto dal ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso. A riferirlo sono state le fonti sindacali. Oggetto dell’incontro, a cui parteciperà anche il garante per la sorveglianza dei prezzi, sono gli interventi per calmierare l’inflazione a tutela dei redditi. Dopo il protocollo siglato con la distribuzione e i produttori per un paniere di beni di prima necessità a prezzi bloccati avviato e voluto dal ministro Urso, il tavolo sarà l’occasione per concordare altre azioni a sostegno del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati. Quanto alle stime della Consercenti «l’erosione del potere d’acquisto e dei risparmi inizia a incidere sulla spesa delle famiglie che, se non ci saranno inversioni di tendenza, dovrebbe diminuire nel secondo semestre di meno 3,7 miliardi rispetto ai primi sei mesi dell’anno».

 

 

 

Tra i motivi principali legati al calo dei consumi, «l’alta inflazione», la riduzione del potere d’acquisto, l’utilizzo dei risparmi, nonché gli effetti delle decisioni della Bce sui tassi d’interesse. I danni potrebbero evidenziarsi nell’autunno che sta per arrivare. A causa della frenata del secondo semestre, a fine anno la crescita complessiva della spesa delle famiglie dovrebbe attestarsi sul +0,8%, contro il +4,6% dello scorso anno. A penalizzare le scelte di consumo - spiega Confesercenti - è innanzitutto l’inflazione, con un rientro più lento del previsto e un aumento tendenziale dei prezzi che ad agosto era ancora sopra la soglia del 5% (+5,4%). All’erosione del potere d’acquisto si aggiunge quella dei risparmi, utilizzati dalle famiglie nella prima fase dell’aumento dei prezzi per mantenere i livelli di consumo precedenti: «Un margine di manovra che, dopo quasi due anni di corsa dei prezzi, si è ormai fortemente ridotto». Intanto, la Bce continua ad aumentare i tassi di interesse, altro fatto che pesa sulla frenata dei consumi, intaccando «la capacità di spesa delle famiglie, in particolare di quelle con un mutuo a tasso variabile». Dato che «i fattori propulsivi della ripresa post pandemica si stanno spegnendo», con gli input da esportazioni e investimenti, in calo, il Pil dipende in larga parte dalla dinamica dei consumi. «La quota complessiva dei consumi sul Pil dovrebbe attestarsi al 59,3%, dal 59,8% dello scorso anno, ma al netto dell’inflazione darebbe un contributo reale del 58,4%, il più basso dall’inizio del secolo (nel 2000 era il 59,9%). Nel complesso, questi andamenti abbasserebbero la crescita del prodotto del secondo semestre al +0,1%, dall’+1,2% del primo semestre. Su base annua la crescita 2023 si arresterebbe quindi allo 0,7%, contro l’1% fissato come obiettivo nel Def», si legge nell’analisi. Insomma dalle premesse i tempi che stanno per arrivare non sembrano facili.

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