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L'inflazione si paga anche a tavola: gli italiani hanno tagliato il cibo in quantità e qualità

Gianluca Zapponini
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Italiani popolo di buongustai. O forse non più. Sì, perché i conti non si fanno solo in banca, alla posta o all'Agenzia delle Entrate, si fanno anche e soprattutto a tavola. L'inflazione riesce anche in questo, a privare il popolo più godereccio del mondo di certi sapori, ai quali fino a ieri difficilmente si rinunciava. E così, secondo l'indagine di Coldiretti e Censis presentata in occasione del XX Forum dell'agricoltura e dell'alimentare in scena a Villa Miani ieri e oggi, a causa del caro prezzi più di un italiano su due (52%) ha tagliato il cibo a tavola in quantità o in qualità, con un effetto dirompente che grava soprattutto sulle famiglie a basso reddito. Con l'inflazione che ha colpito duramente i prezzi dei beni alimentari al consumo, il 47% degli italiani è stato costretto a tagliare le quantità di cibo acquistato ma se si considera la fascia di popolazione a basso reddito, la percentuale sale addirittura al 60%, mentre per i redditi alti si scende al 24%. Accanto a chi è stato costretto a mettere meno cibo nel carrello per far quadrare i bilanci familiari, c'è poi un 37% di italiani che ha preferito risparmiare sulla qualità (il 46% nel caso dei bassi redditi, ma appena il 22% per quelli alti).

 

 

Tali rinunce «sono dunque socialmente differenziate secondo una logica di food social gap con gli adulti e i giovani che tagliano molto più degli anziani, e i bassi redditi più che i benestanti. Peraltro, oltre sei italiani su dieci tra coloro che tagliano gli acquisti sono convinti che questa situazione durerà almeno per tutto il 2023», si legge nello studio. Nella classifica dei prodotti più colpiti dalla scure dei consumatori ci sono al primo posto gli alcolici ai quali sono stati costretti a dire addio, del tutto o anche solo parzialmente, il 44% degli italiani. Al secondo posto i dolci che vengono tagliati in quantità dal 44%, mentre al terzo ci sono i salumi ai quali ha rinunciato il 38,7% dei cittadini, subito davanti al pesce (38%) e alla carne (37%). E pensare che, sempre secondo Coldiretti, il cibo è diventato la prima ricchezza dell'Italia per un valore di 580 miliardi di euro nel 2022 nonostante le difficoltà legate alla pandemia e alla crisi energetica scatenata dalla guerra in Ucraina. In altre parole, il Made in Italy a tavola vale oggi quasi un quarto del Pil nazionale e, dal campo alla tavola, vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740 mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione. Ma bisogna difenderlo, il made in Italy.

 

 

Per questo il ministro per l'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, a margine dello stesso Forum ha annunciato la guerra al cibo sintetico, spiegando che che il board del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) «ha approvato una delibera che investe sulla ricerca per capire quali sarebbero gli effetti dei prodotti realizzati in laboratorio che tengano conto sì di quello che dicono gli studi scientifici statunitensi, ma anche per verificare se questi prodotti, come dice qualcuno, non fanno male oppure danneggiano i nostri concittadini dal punto di vista della salute».

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