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Come saranno i tassi nel 2023, Bce e l'ipotesi choc: "In caso di recessione profonda"

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Il ciclo di rialzi dei tassi di interesse non è ancora terminato. Dai verbali dell'ultima riunione della Banca centrale europea emerge che per raggiungere il target di inflazione al 2% al medio termine i tassi dovranno essere ulteriormente aumentati e le decisioni, come ormai noto, saranno basate sull'evolversi dei dati. Intanto, la mossa di ottobre, che ha portato ad un aumento di 75 punti base, "è stata sostenuta da un'ampia maggioranza di membri" in quanto "risposta adeguata alla durata prolungata dell'inflazione eccessivamente elevata e del rischio che ciò possa aggiungersi alle pressioni sui prezzi a medio termine". Gli indici europei terminano la seduta in positivo con Piazza Affari che sale dello 0,61% a 24.730,89 punti. Bene anche il Dax tedesco che avanza dello 0,79% a 14.541,56 punti, il Cac di Parigi segna +0,42% a 6.707,32 punti e l'Ibex 35 di Madrid +0,75% a 8.394,09 punti.

Sebbene sia chiaro che la Banca centrale stia adottando un orientamento meno accomodante in politica monetaria, bisogna ancora lavorare. Su questo concorda Isabel Schnabel, membro del comitato esecutivo della Bce: "I dati giunti finora indicano che lo spazio per rallentare il ritmo degli aggiustamenti dei tassi d'interesse rimane limitato, anche se ci stiamo avvicinando alle stime del tasso 'neutrale'", evidenzia durante un intervento alla Bank of England Watchers' Conference. Un eventuale stop ai rialzi, emerge nelle minute, sembra possibile in caso di una "recessione prolungata e profonda, che potrebbe frenare l'inflazione in misura maggiore", mentre in caso di recessione lieve "il Consiglio direttivo dovrebbe continuare a normalizzare e inasprire la politica monetaria".

In ogni caso in Eurozona, dopo una stagnazione del terzo trimestre, nonostante per i prossimi due sia atteso un calo dell'attività economica, lo scenario "è molto diverso da quello ipotizzato in cui l'area dell'euro entra in un periodo prolungato di crescita negativa" e lo è anche da quello al ribasso descritto nelle previsioni di settembre "visto che i prezzi dell'energia sono attualmente molto più bassi di quanto ipotizzato".

Il nemico numero uno rimane l'inflazione. "È improbabile che queste pressioni sui prezzi si dissipino rapidamente", mette in guardia Schnabel, rilevando come l'attuale contesto macroeconomico rimanga diverso da quello pre-pandemia. Le ragioni sono principalmente quattro: "I risparmi in eccesso accumulati dall'inizio della pandemia restano significativi sia in termini nominali che reali", poi "a causa dei limiti delle forniture, le imprese del settore manifatturiero continuano ad avere un portafoglio ordini completo con un arretrato superiore a cinque mesi", in terzo luogo, "le imprese continuano ad aggiungere nuovi posti di lavoro e i tassi di disoccupazione rimangono a livelli bassi record nonostante gli elevati rischi di una recessione tecnica in inverno" e infine "vi sono prove crescenti che la pandemia e la crisi energetica possono avere effetti negativi più permanenti sulla produzione potenziale attuale e futura".

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