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L'odissea di Nucci, manager "inventore" tradito dalla giustizia

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Filippo Caleri
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Giuseppe Nucci, fino al 2013 è stato un manager di Stato. Il suo ultimo incarico pubblico quello di amministratore delegato della Sogin, la società che si occupa di smaltire i rifiuti del nucleare italiano. Un uomo al servizio delle istituzioni, con una dote importante: la capacità di immaginare il futuro, di vedere l’innovazione e, soprattutto di realizzarla. Una facoltà che però non gli ha evitato di intuire la pericolosità di un granello di polvere che si stava inserendo, subdolamente, nella sua vita personale e lavorativa. 
Una vicenda giudiziaria di quelle che iniziano come un venticello, si trasformano in un tornado distruggendo quello che incontrano e, infine, spariscono nel nulla. Una palude nella quale può affogare chiunque, improvvisamente. E che dopo tanto penare si conclude con una formula con un retrogusto amaro generato da un misto di impotenza e rassegnazione: «Perché il fatto non sussiste» scrivono i giudici negli atti che mettono fine a un lungo calvario processuale.
Già, Nucci è rimasto ai box per due tegole giudiziarie che si sono rivelate, dopo anni, fondate sul nulla. Ma che gli hanno creato, un doloroso spazio bianco, nella sua linea professionale fino ad allora senza pecche dagli inizi. Una carriera che parte da lontano. 
Nel 1988 Nucci c’è, quando a Roma, per i Mondiali di calcio del 1990, l’amministrazione capitolina punta su un concetto di mobilità sostenibile, allora all’avanguardia, ed oggi ampiamente acquisita nella progettazione dei sistemi di trasporto di tutto il mondo. Allora è direttore generale del consorzio Abb-Metram che collegherà con un mezzo pubblico piazzale Flaminio allo stadio Olimpico. La sua intuizione è vincente: una corsia preferenziale delimitata e abbellita dal verde e, soprattutto, basata su un sistema di semafori intelligenti che danno il via libera all’approssimarsi del convoglio all’incrocio. Insomma, una piccola rivoluzione che anticipa, di trent’anni il concetto di Smart City. 
Non è la sua sola intuizione felice. Nel 1998 Nucci entra nell’Enel di Franco Tatò e Chicco Testa, che creano Enel So.l.e., la prima società controllata del settore energia, dedicata all’illuminazione pubblica e artistica, e parte con 85 miliardi di lire di capitale. Arriva a gestire l’illuminazione pubblica in circa 6.500 comuni italiani, una larga fetta dunque degli oltre 7.900 presenti nel Paese. Anche in quel frangente la visione innovativa non manca. L’anno è il 2001, Hal 9000, l’intelligenza artificiale immaginata da Stanley Kubrick, non c’è ancora. Ma Enel So.l.e. mette a punto un sistema che fa dialogare il punto luce con la centrale di controllo. Questo fa si che in ogni momento si possa intervenire sulla funzionalità della rete, con guadagni in termini di rapidità di riparazione e di efficienza del servizio. Nel settore artistico la società, inoltre, progetta e realizza numerosi impianti, anche utilizzando, tra i primi in Italia, 100 miliardi di lire di fondi europei. 
Ma è ancora in Enel che Nucci si guadagna i galloni di ingegnere che vede nel futuro. È l’inizio del secondo millennio. L’auto elettrica è solo un bel gadget con batterie enormi e un’autonomia che difficilmente raggiunge i 5 chilometri. Insomma sono i primi vagiti di quello che è oggi il cambio di paradigma del trasporto privato e pubblico. Enel So.l.e. a guida di Nucci, progetta la prima colonnina per alimentare i veicoli a trazione elettrica. Viene chiamata scherzosamente «biberon» ed è la progenitrice dell’attuale colonnina installata da Enel X. Alcuni vengono posizionati a Roma e così, tra lo scetticismo e la curiosità l’era dell’e-mobility capitolina partiva. 
Non è finita. Nasce la «Webtower» una torre faro (della quale Nucci è inventore assieme all’ingegner Colicchia) che può ospitare i ripetitori di più gestori telefonici. Non è solo di invenzioni che si arricchisce il curriculum di Nucci negli anni. Per lui la vera sfida è la gestione della complessità. Ed è questa inclinazione a farne il candidato ideale per gestire la Sogin che, sotto la sua guida, aumenta anche il grado di internazionalizzazione delle sue attività, tanto che i tecnici italiani specializzati nel trattare le scorie arrivano in Russia per avviare lo smantellamento di alcuni sommergibili dell’Armata Rossa. La Sogin porta a casa un prestigioso riconoscimento da parte di Mosca: una medaglia che riconosce la bontà del lavoro svolto. 
In quel momento Nucci è sulla cima della montagna, quando si presenta il granellino di polvere che lo fa rotolare rovinosamente, senza colpa però, ammettono alla fine i giudici. Non prima di avergli imposto la discesa negli inferi della giustizia. Che inizia nel 2014. Proprio dalla Sogin. A maggio di quell’anno i pm di Milano avviano l’inchiesta sugli appalti dell’Expo con un filone su una commessa per un impianto di cementificazione dei rifiuti liquidi radioattivi a Saluggia, in Piemonte. Nel vortice finisce Nucci che non è più ad da circa un anno ma che, all’epoca dei fatti avrebbe, secondo gli inquirenti, intrallazzato con la cricca dell’Expo. Negli stessi giorni però anche i risultati di un’indagine interna condotta dai nuovi vertici della Sogin finiscono sotto la lente della magistratura per un esposto presentato dal neo ad Riccardo Casale. Anche in questo caso Nucci finisce sotto accusa. Questa volta gli viene contestato l’uso personale e smodato della carta di credito aziendale. Tutto falso e provato dagli sviluppi dei processi. Il tribunale di Roma, dopo anni, demolisce l’attività della magistratura inquirente, denunciando un plateale accanimento accusatorio privo di elementi probatori. Sulla vicenda dell’Expo il giudice per le indagini preliminari fatica perfino a capire il capo di imputazione, che «sollecita non poche obiezioni critiche sotto il profilo della determinatezza dell’ipotesi accusatoria». Mentre nell’altro processo il giudice dice, non risulta «che la pubblica accusa abbia dato alcuna seria e convincente dimostrazione dell’abnormità dell’utilizzo della carta di credito aziendale». Le carte sono chiare. In entrambe le vicende Nucci è assolutamente innocente «perché il fatto non sussiste». Il granello di polvere che ha inceppato la carriera del manager si disintegra. Ma il peggio è fatto. La reputazione e la credibilità, messe a dura prova dai lunghi processi che gli hanno tarpato le ali, sono riconquistate. Nonostante l’amarezza il suo entusiasmo non è stato scalfito. E ora Nucci è nuovamente pronto a rimettere la sua esperienza e il suo impegno a servizio delle istituzioni. 
 

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