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Squinzi debutta e dimentica la Grecia

Il neo eletto presidente di Confindustria Giorgio Squinzi

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Un avvio decisamente sotto tono per il neopresidente della Confindustria Giorgio Squinzi che ieri ha esordito al tradizionale appuntamento dell'Assemblea pubblica. Chi si aspettava una sferzata, un colpo d'ala o quantomeno un messaggio potente al governo e alla politica, è rimasto deluso. Nelle trentanove cartelle della sua Relazione di insediamento, Squinzi ha passato in rassegna i temi cari agli industriali (fisco, pubblica amministrazione e crescita) ma più per titoli che per approfondimenti e con alcune evidenti lacune che non sono passate inosservate, a cominciare dalla crisi della Grecia e dal tormentato dibattito nell'Eurogruppo. Peraltro ad ascoltarlo non c'erano nè il ministro del Lavoro Elsa Fornero, nè il presidente del Consiglio Mario Monti. Al loro posto (come supplenti?) il viceministro all'Economia Grilli e il viceministro Michel Martone (Lavoro) oltre alla tradizionale presenza del ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera. Grande assente anche la Fiat ma non poteva essere diversamente dopo l'addio a Confindustria deciso dall'ad Marchionne. Ma pare che Squinzi la consideri irrecuperabile tant'è che nella Relazione non ne fa alcun cenno. Come pure ignora del tutto il caso Grecia, l'impatto che si avrebbe anche per il mondo imprenditoriale da un'uscita di Atene dall'Euro e pure il dibattito in corso nell'Eurogruppo con Monti impegnato in prima linea, sul tema degli Eurobond e della spesa per investimenti. Squinzi liquida l'argomento Europa in una cartella, limitandosi a dire che «un'Europa percepita come solo rigore non regge» e che occorre «una casa comune per fisco, welfare, infrastrutture e energia». Sulle tasse, il neopresidente parte lancia in resta. Il fisco è in Italia una «zavorra intollerabile; con una pressione fiscale reale complessiva al 68,5% contro il 52,8% in Svezia, il 46,7% in Germania, il 37,3% nel Regno Unito, c'è urgente bisogno di una riforma». Nulla si dice però su quell'altra zavorra che è l'evasione fiscale. Nel mirino anche i tagli alla spesa, troppo pochi e poco incisivi. «Occorre un impegno serio, determinato, continuo per ridurre la spesa pubblica. Non possiamo accontentarci di una spending review che sia solo una bella analisi dei tagli possibili. Servono tagli veri». Ma niente bisturi però per la spesa della macchina Confindustria. La polemica sollevata da quegli imprenditori (alcuni usciti da Confindustria proprio per questo motivo) che hanno lamentato l'eccessivo costo di funzionamento del sistema confindustriale, è caduta nel vuoto. Squinzi ha affrontato il nodo della riorganizzazione della struttura di Confindustria in modo generico. Ha usato parole come «dobbiamo modernizzare e innovare la nostra associazione», «il meccanismo di funzionamento va rivisto e reso più efficiente». Ma ha anche ribadito a chiare lettere che tutto questo va fatto «senza sconvolgere il sistema». Insomma piccoli aggiustamenti, ma nessuno si aspetti la rivoluzione. Toni diversi invece quando chiede la riforma della Pubblica Amministrazione che «insieme alla semplificazione normativa ci può aiutare a tornare a crescere». Squinzi rimarca anche la questione del credito. «La carenza e i costi del credito sono il nodo più urgente da sciogliere perché sta soffocando il tessuto produttivo. Per questo alle banche e allo Stato italiano chiediamo uno sforzo aggiuntivo». Il tutto dovrebbe servire a riavviare la crescita. A frenare «l'emorragia che si misura con le decine di migliaia di imprese che non sono sopravvissute alla crisi». Altro attacco alla riforma del mercato del lavoro che «appare meno utile alla competitività del Paese e delle imprese di quanto avremmo voluto». Poi la bocciatura secca «a ogni imposizione per legge di forme di cogestione e codecisione». Piuttosto va attuato «il doppio livello di contrattazione, nazionale e aziendale» riducendo il numero dei contratti collettivi di categoria».

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