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Le banche puntino di più sui clienti e sui territori

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Inalcuni ho colto rassegnazione, in altri atteggiamenti di protesta, in altri ancora, i più per fortuna, grande voglia di combattere per superare la crisi. L'Italia non ha, non ha mai avuto, la cultura della grande impresa. Quelle poche che ci sono si riferiscono ad aziende partecipate dallo Stato e per lo più ex monopoliste. Le grandi famiglie che, dopo la prima guerra mondiale, avevano messo su aziende importanti sono scomparse. Le ultime raffiche di Salò, le spararono, quando ancora era in vita il fondatore di Mediobanca. Cuccia, nume tutelare delle grandi famiglie imprenditrici, teorizzò la formula che le azioni non si contano ma si pesano. Per comandare era sufficiente detenere una piccola quota allo interno di un patto di sindacato. Poca, o nulla attenzione, Cuccia riservava alle Pmi che allora, come ora, rappresentano l'asse portante della nostra economia. Cuccia si vantava di non aver mai messo piede in azienda. Il che può andare bene per le grandi, non per le piccole che invece hanno necessità di essere visitate per capire come assisterle. Queste aziende una volta erano però curate dal parroco di campagna, cioè dal piccolo banchiere del territorio che, assurde politiche di risparmi organizzativi, fecero sparire. Al di là dei proclami queste Pmi sono ora piccoli battelli senza timone, in un mare in tempesta. Le banche devono tornare a fare credito sul territorio con la tecnica one to one. Non servono proroghe indiscriminate sulle rate in scadenza. Occorre invece, con coraggio e competenza, effettuare analisi basate non sui freddi numeri. Bisogna capire futuro e prospettive delle aziende familiari per sostenere le attività meritevoli. Poi la conoscenza capillare potrà dare quella visione generale per attuare la strategia del rilancio, che in Italia dovrà ripartire da un territorio dalle diverse tipicità e conseguenti necessità.

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