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Attività di lobbying I professionisti chiedono una legge

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Regolamentare i gruppi di pressione porta più trasparenza ed etica

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Lachiedono gli operatori della comunicazione in questi giorni nei quali Il Tempo ha sollevato il dibattito su un'attività importante nella creazione della legislazione ma che nel nostro Paese non è regolata. Un'assenza normativa che, in alcuni casi, porta alla degenerazione di una professione riconosciuta e accettata nel mondo anglosassone. Per Patrizia Rutigliano, presidente delle Ferpi (Federazione relazioni pubbliche italiana) «la proposta che vogliamo mettere in piedi recupera un lavoro già fatto nel passato e dunque si opera in una logica di continuità». Serve l'istituzione di un registro ma non come nel modello americano che prevede l'iscrizione del professionista con una scadenza temporale dunque con la decadenza dopo un certo periodo del portatore di interesse. «Noi chiediamo un vero e proprio albo in cui siano iscritti tutti i soggetti che esercitano l'attività di lobbying» aggiunge la Rutigliano. Secondo la quale l'iscrizione in un albo dovrebbe mettere sicuramente paletti per scremare tra chi voglia esercitare la professione ma al tempo stesso dovrebbe dare diritti oggi negati come l'accesso alla consultazione dei documenti necessari a svolgere il lavoro. Ad esempio alcuni atti parlamentari la cui lettura importante per il lobbista a volte gli è preclusa. Sulla stessa linea anche Gianluca Comin, Direttore relazioni esterne di Enel e past president di Ferpi: «Penso che sia maturo il tempo per istituire registro di chi si occupa di lobby o dei portatori di interessi. Rappresenterebbe un atto di massima trasparenza e ci porterebbe a livello di molti paesi europei e di quanto avviene Bruxelles». Il registro consentirebbe di distinguere tra chi fa questo mestiere e chi lo usa a sproposito. «Nel registro si deve indicare per chi si lavora, quali sono le attività del committente e i clienti» spiega Comin. Sarebbe un modo utile per sapere anche se ci sono parlamentari che difendono alcune posizioni in maniera trasparente. Negli Usa ad esempio è chiaro quale sia il deputato che appoggia il settore petrolifero. Per spiegare il mestiere del lobbista Comin utilizza una frase di Kennedy: «Quello che i miei collaboratori scrivono in dieci pagine il lobbista lo dice in una pagina». Pier Luigi Petrillo, professore di teoria e tecnica del lobbyng alla Luiss è stato presidente della Commissione Santagata che aveva elaborato un disegno di legge, approvato dal Cdm nel 2007, per regolamentare l'attività dei lobbisti. Il ddl però è arrivato in Senato e si è arenato. Petrillo spiega che «ci sono due possibili modelli per la regolamentazione. O ci si adegua al contesto europeo con il registro volontario senza obblighi di iscrizione e con una serie di agevolazioni come contropartita oppure si rende vincolante l'iscrizione al registro. Nel primo sistema si lascia un certo margine di oscurità perché molti lobbisti restano nell'ombra. Il secondo sarebbe la migliore soluzione per sistema italiano». Non ci sarebbe solo obbligo a iscriversi ma anche quello di dare un rendiconto pubblico e on- line aggiunge Petrillo che chiosa: «Le lobby sono infrastrutture del sistema democratico, danno informazioni tecniche ai decisori ma operano nell'oscurità. Regolamentarle serve anche alla loro tutela». Per Francesca Immacolata Chaouqui, responsabile delle relazioni esterne di Orrick, Herrington & Sutcliffe «va bene la legge per regolamentare le lobby ma bisogna fare attenzione a farne uno strumento di selezione effettiva delle competenze. Attenzione, insomma, a introdurre requisiti troppo stretti che possono tagliare fuori dal mercato una serie di professionisti che attualmente fanno lobbying». Elisa Greco, professionista di comunicazione culturale e relazioni istituzionali spiega infine che «la legge è fondamentale perché tutela l'operatore ma anche il committente e l'opinione pubblica».

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