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"I fondo sovrani arabi pronti a investire in Tunisia e in Italia"

Tarak Ben Ammar

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Nella crisi europea il ruolo dei fondi sovrani arabi può essere molto importante. «Per loro si aprono grandi occasioni di investimento» spiega a Il Tempo Tarak Ben Ammar, finanziere tunisino e produttore cinematografico, prima dell'inizio della presentazione al Senato del libro di Giancarlo Elia Valori «Il nuovo Mediterraneo-Confine e rinascenza d'Europa». «Mi auguro che i fondi arabi guardino all'Italia in maniera prioritaria. Mi sto dando da fare per questo. Voglio fare in modo che gli amici del Qatar, con i quali ho appena prodotto un film dal titolo "Il principe del deserto" diretto da Jean Jacques Annaud e con Antonio Banderas, vengano a investire la loro liquidità non solo in Tunisia ma anche nei paesi amici. Come l'Italia, che considero la mia seconda patria». Ha già immaginato qualche settore? «No. Sto guardando in giro e sto valutando le opportunità». Difficile investire in un paese che sta affrontando una transizione. Il governo è dei tecnici. Come lo valuta? «Trovo che sia stato un atto di patriottismo dei partiti mettersi da parte per lasciare la soluzione dei problemi a Monti». Ma così non si sospende la democrazia? «Non credo. Parlo della Tunisia. Per 330 giorni dopo la rivoluzione c'è stato un esecutivo incaricato per un anno di scrivere la Costituzione che ha permesso l'elezione della Costituente. Non credo che il governo tecnico italiano sia un attacco alla democrazia perché i parlamentari hanno dato un termine, fino alla fine del 2013, per sistemare le situazione finanziaria dell'Italia. Tutti hanno fatto un passo indietro, in attesa di tornare a sfidarsi per le prossime elezioni».   Non sono stati chiesti troppi sacrifici sempre ai soliti soggetti? «Accade in tutti i paesi europei. Quando c'è da fare una politica di rigore soffrono tutti non solo i più deboli». Pensa ancora che l'Italia sia un paese potenzialmente in grado di fare molto. Ma che in tanti tendono a non fare crescere? «I primi nemici degli italiani sono gli italiani che litigano troppo tra loro. Il patriottismo è essenziale alla protezione degli interessi nazionali. Lo vedo in Francia, in Germania e negli Usa quando ci sono attacchi esterni. Lo vedo meno in Italia». Passiamo all'Europa. È sempre più debole e divisa. «Mi sembra chiaro che la crisi del 2008 abbia dimostrato sempre più che la finanza anglosassone vuole un'Europa a due velocità. Europa del Sud con Italia e Spagna, da un lato, ed Europa del Nord dall'altro. Ritengo che l'Italia possa beneficiare dello sviluppo del Mediterraneo come una delle ancore di salvezza per la vostra economia. La democratizzazione in atto nei paesi del Magreb è un'opportunità di crescita irripetibile per le imprese italiane anche perché storicamente l'Italia è il paese più vicino al Nord Africa». Anche rileggendo il libro di Giancarlo Elia Valori, qual è il messaggio più importante che arriva dalla rivoluzione tunisina? «Il successo della democrazia tunisina resta quello di dimostrare che l'Islam è compatibile con la democrazia. L'Islam è una religione pacifica e moderata che non ha nulla a che vedere con il fanatismo». Nel processo di democratizzazione quanto conta una televisione come la sua Nesma? «Ha un ruolo chiave. Nesma che in arabo vuol dire "brezza" è stata la prima tv privata a fare una trasmissione sotto il regime di Ben Alì per criticare la corruzione. La tv resta mezzo di comunicazione importante per accompagnare la crescita sociale di un paese». E anche per fare business. «Certamente. Ma la ricchezza prodotta serve ad alimentare la creazione dei suoi contenuti e di nuovi posti di lavoro». Parliamo della tv italiana. Si parla di un suo interesse per la Ti Media. Oggi si è dimesso il direttore del tg de La 7, Mentana. Che ne pensa? «L'interesse per Telecom Italia Media l'ho più volte smentito. Mentana ha dimostrato coraggio e di non essere attaccato alla poltrona. Non è poco». Non ha interesse a creare il terzo polo tv? «Il terzo polo c'è già ed è Sky. Mi hanno attaccato per aver portato Murdoch in Italia per fargli stringere un'alleanza con Berlusconi e creare un monopolio tv. Non è stato così. Il quarto polo non sarà un solo canale ma una moltitudine di canali».   I suoi interessi sono anche in Mediobanca. È ancora il salotto buono dei poteri forti? «È un'immagine mediatica esagerata».   Ma al suo interno si decide molto? «Ha lo stesso ruolo che ha avuto dopo la guerra. Soprattutto oggi con una questa crisi Mediobanca resta accanto alle imprese italiane». Lo scontro tra Geronzi e Della Valle nelle Generali ha segnato qualcosa nel capitalismo relazionale? «Generali è gestita da manager giovani. Geronzi non aveva poteri esecutivi. Ho condiviso la visione di Della Valle che chiedeva di cambiare e ringiovanire il volto del capitalismo. Ma non ho condiviso il metodo e la forma. L'educazione è importante così come la sostanza. Continuo a essere un amico di Cesare Geronzi e grande fan di Della Valle». Si conferma ancora una volta uomo di pubbliche relazioni? «No. È quello che penso». (ha collaborato Fabio Perugia)

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