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Dalla Paura alla Speranza, Tremonti sulla via della Cina

Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti

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Giulio Tremonti conserva nel suo studio un regalo che gli è stato consegnato il 1 ottobre dall'ambasciatore cinese a Roma. Si tratta di un bel volume celebrativo del quarantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Pechino e l'Italia. La prima pagina si apre con una foto dell'incontro avvenuto nell'ottobre del 1955 tra Pietro Nenni e Mao Tse-Tung foriero dell'intenso impegno dello storico leader del Psi affinché al Paese della Grande Muraglia fosse riconosciuto il giusto ruolo di potenza internazionale dopo la sconfitta e la fuga a Taiwan di Chang Kai-shek. Ora anche per Giulio la Cina è più vicina. Mentre il regalo dell'ambasciatore troneggia sugli scaffali, il ministro ha infatti messo in un cassetto il suo libro «Rischi Fatali» uscito nel 2005 in cui scriveva di essere stato «il primo politico occidentale» a individuare nella Cina «una incombente drammatica negatività» che «sfrutta la debolezza dell'Europa». Ben altri i toni usati dal numero uno del Tesoro il 3 dicembre 2010 a Pechino davanti ai giovani quadri del Partito comunista cinese con tanto di citazione di Karl Marx: «All'antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una interdipendenza globale».   Le manovre di avvicinamento con la Cina sono state poi confermate dai contatti sempre più frequenti fra i dirigenti del fondo sovrano China Investment Corporation e la Cassa Depositi e Prestiti, braccio operativo del Tesoro. La delegazione del fondo è arrivata in Italia lo scorso 6 settembre. Il giro di incontri dei delegati è stato lungo: dallo stesso Tremonti, ai colleghi Frattini e Matteoli, fino a rappresentanti di Bankitalia e appunto della Cdp. Di missioni simili nel nostro Paese la Cic ne ha infatti già organizzate altre in passato, ma l'ultima ha acquistato tutto un altro peso alla luce del pressing internazionale sui conti pubblici italiani e le difficoltà attraversate dal Tesoro a piazzare sul mercato i Btp nelle ultime aste. «Tremonti Tze-tung» ci spera e incalza. «Investire in Europa credo sia uno straordinario investimento», ha dichiarato venerdì Tremonti durante la riunione dell'Aspen Institute a Venezia, presente il vice presidente della Scuola centrale del Partito comunista cinese Li Ingtian. «Investire conviene ha grandi ritorni. Il nostro problema non è tanto chiedere aiuto alla Cina, ma un aiuto in Europa a quelli intelligenti e di buona volontà». E ancora: «Non ho mai detto che la Cina è una minaccia per l'Europa. Ho detto, invece, che i cinesi facevano i cinesi, mentre erano gli europei che facevano gli stupidi. All'epoca, mentre loro facevano chilometri di fabbriche, noi facevamo chilometri di regole inutili, tipo quella su come è fatto un dettaglio di una toilette». In realtà è tutta l'Europa che corteggia la Cina. All'indomani dell'accordo tra i Paesi dell'euro sul rafforzamento del fondo salva-Stati, funzionari di altissimo livello hanno avviato colloqui con Pechino. Lo scopo è attrarre quanti più investimenti possibile, dando in cambio alla Cina la più grande opportunità di esercitare la sua influenza sulle potenze occidentali. Dal canto loro i cinesi stanno ancora aspettando ulteriori dettagli sul modo in cui il fondo di salvataggio intende operare e sulle possibilità che l'investimento sia redditizio, prima di decidere se impegnarsi. Ma è certo che un possibile crac dell'Italia spaventa Pechino. Il rendimento dei tassi di interesse dei nostri Btp è schizzato ai massimi da 10 anni, nell'asta di venerdì. Se le misure varate dall'Europa non saranno sufficienti, a crollare non sarebbe solo l'economia europea, ma anche quella degli Usa e degli altri partner commerciali. Tra i quali c'è, ovviamente, la Cina: e il collasso contemporaneo di due tra i principali mercati in cui Pechino opera sarebbe uno scenario estremamente difficile da affrontare. Senza dimenticare che il gigante asiatico possiede 3,2 miliardi di dollari in riserve di valuta straniera e ha bisogno di «parcheggiarli» da qualche parte: convertirli in yuan porterebbe, infatti, a un apprezzamento della valuta cinese e a un aumento dell'inflazione. Pechino vuole inoltre liberarsi di una parte delle sue scorte di buoni del Tesoro statunitensi, e questo gli europei lo sanno bene. Il governo cinese si muove attraverso la State administration of foreign exchange (Safe), che amministra le riserve valutarie, e il fondo Cic. La Safe gestisce oltre 3.200 miliardi di dollari riserve in valuta investiti in titoli a basso rischio di cui circa un quarto denominato in euro. Della sua quota investita in Europa, circa 80 miliardi sarebbe in titoli italiani. Nel primo semestre, la Safe ha investito 275 miliardi di dollari, quindi, assumendo che mantenga la stessa allocazione di portafoglio, potrebbe acquistare entro l'anno 6/7 miliardi di euro di titoli italiani. Il fondo sovrano Cic gestisce invece 409 miliardi di dollari, il 27% in obbligazioni, di cui il 38% in debito sovrano. Nell'ipotesi che mantenga nell'obbligazionario la stessa ripartizione geografica riportata per l'azionario (il 22%), avrebbe oggi circa 7 miliardi di euro di titoli di Stato europei di cui una quota trascurabile italiani. La Cina potrebbe dunque intervenire sottoscrivendo tra il 5% e il 6% dei nostri 111 miliardi di titoli in scadenza entro l'anno. L'aiuto, però, non sarà gratis. A gennaio, la condizione che ha sbloccato l'acquisto dei bonos è stata la vendita a Sinopec di circa 7 miliardi di dollari di asset brasiliani dell'oil company spagnola Repsol. Analogamente la promessa di acquistare titoli greci è stata affiancata dalla richiesta di una concessione al big dei trasporti cinesi Cosco per lo sviluppo di un nuovo terminal merci al Pireo. Tremonti corteggia ed è probabile che i Mandarini cedano alle lusinghe. Ma cosa dovrà portare Giulio in dote?

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