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C'è Profumo di evasione fiscale

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All'ex ad e a Unicredit contestata la frode per operazioni con la Barclays

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Dilui si parlava infatti come il «papa nero» del Pd, ovvero l'uomo della società civile in grado di attrarre consensi trasversali verso il centrosinistra. I segnali della simpatia di Profumo per i democratici si erano visti anche in occasione del suo voto alle primarie insieme alla moglie Sabina Ratti (candidata da Rosy Bindi). Le porte della politica si erano dunque definitivamente aperte per una possibile discesa in campo. Da ieri, però, il manager dovrà fare i conti con una grana giudiziaria che rischia di lasciarlo al palo in qualunque futura competizione politica. Nella serata è infatti arrivata una tegola su lui, oggi consigliere indipendente di Eni, e su Unicredit. Profumo è infatti indagato dalla Procura di Milano per frode fiscale nell'ambito del caso «Brontos». Il Tribunale ha sequestrato all'istituto di credito 245 milioni, quantificati come il profitto del reato di presunta evasione fiscale che sarebbe stato commesso dalla banca tra il 2007 e il 2008 attraverso un'operazione finanziaria all'estero condotta con la banca inglese Barclays. L'istituto di Piazza Cordusio si è detto molto sorpreso per l'iniziativa ribadendo la convinzione della «correttezza del proprio operato e di quello dei propri dipendenti». Il sequestro, ai fini di una eventuale confisca, è stato eseguito dalla Guardia di Finanza in Banca d'Italia su un conto di corrispondenza di Unicredit. A disporlo è stato il gip di Milano Luigi Varanelli su richiesta del Procuratore aggiunto Alfredo Robledo che ha calcolato la somma sequestrata in quanto ritenuta il profitto della frode fiscale legata a un marchingegno finanziario semplice. L'idea era quella di far credere che Unicredit stesse investendo in un contratto di pronti contro termine (operazione con il quale si prestano fondi a breve termine al sistema bancario) su strumenti partecipativi di capitale e dunque in capitale di rischio. In realtà si trattava di un semplice deposito interbancario della banca di piazza Cordusio presso la Barclays. Così Unicredit al momento di pagare le tasse sui fondi ottenuti, versò solo il 5% su quelli che dichiarò essere dividendi dei pronti contro termine (il 95% sono infatti deducibili per legge), mentre in realtà avrebbe dovuto versare il 100% perché si trattava di semplici interessi sul deposito interbancario. E dunque non graziati dallo sconto fiscale. Per il 2009, ad indagine già in corso, l'istituto di credito allora guidato da Profumo aveva regolarmente versato le imposte dovute relativamente alle analoghe operazioni. Nell'inchiesta sono indagati una ventina di persone tra manager e funzionari di Unicredit e tre dipendenti dell'inglese Barclays. A Profumo, in particolare, è contestata l'ipotesi di dichiarazione fiscale fraudolenta in quanto «ha apposto la propria sigla sulle relative ed articolate richieste di approvazione dell'investimento». Come si legge nel provvedimento del giudice «dall'esame complessivo degli elementi (...) emerge con tutta evidenza che l'operazione (...) risultò posta in essere dal gruppo Unicredit esclusivamente al fine di conseguire un vantaggio tributario del tutto indebito». Secondo il Corriere.it l'artificio contabile ha generato a beneficio di Unicredit l'illecito enorme risparmio d'imposte Ires e Irap: al fisco italiano sarebbero così stati sottratti 745 milioni di euro di imponibile nelle dichiarazioni relative al 2007 e 2008 di Unicredit Corporate Banking spa e Unicredit Banca spa, e in quelle del 2008 di Unicredit Banca di Roma spa. L'istituto - come le molte altre banche e assicurazioni italiane che utilizzarono i pacchetti proposti da Barclays e Deutsche Bank - prospetta l'irrilevanza penale e argomenta la liceità tributaria di queste operazioni, che inquadra nella categoria dell'«ottimizzazione fiscale» in arbitraggi tra giurisdizioni differenti a caccia dello scalino fiscale più favorevole nei vari Stati.

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