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Parla Bernanke e alimenta il caos

Ben Bernanke, a capo della Federal Reserve

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Ieri Ben Bernanke, il gande capo della Fed, ha tenuto un discorso molto atteso al meeting annuale dei banchieri a Jackson Hole, nel Wyoming. Risultato: le borse europee, già in rosso, hanno segnato un ribasso immediato di altri due punti, mentre Wall Street e Nasdaq perdevano egualmente terreno. Per riprendersi un po' nel finale. Ventiquattrore prima il capo dello stato tedesco Christian Wulff, che normalmente non interviene nel dibattito politico e meno ancora in quello economico, ha pensato bene di esternare contro il sostegno che Angela Merkel si è impegnata a garantire (senza peraltro fare ancora seguire alle parole i fatti) ai paesi a rischio. «Ogni aiuto a carico delle casse pubbliche rischia di essere illegale» ha detto rivolgendosi al Bundestag, il parlamento di Berlino. Poco dopo, nel pomeriggio del 25 agosto, l'indice Dax di Francoforte ha perso il quattro per cento in mezz'ora, sui rumors di un downgrading da parte di Moody's addirittura della Germania. Nelle stesse ore un altro attacco alla Cancelliera giungeva da Helmut Kohl, il suo antico mentore politico, per motivi del tutto opposti: «Che fine ha fatto la nostra leadership, la nostra credibilità europea? Rischiamo di diventare sempre più marginali e inaffidabili». Se c'erano ancora dubbi che la classe politica tedesca fosse migliore della nostra, eccoli spazzati via. Ma in generale se qualcuno ancora si illudeva e si illude sulla forza delle istituzioni pubbliche a Berlino come a Washington, è bene che si dia una svegliata. Più questi signori parlano, e più ottengono il risultato opposto. Dovrebbero tranquillizzare i mercati, e soprattutto alcune centinaia di milioni di cittadini sulle due sponde dell'Atlantico. Ma le loro parole rivelano solo un grande vuoto di idee, e quindi alimentano il caos sui mercati e l'insicurezza di tutti noi. Prendiamo Bernanke: se dovessimo fare un titolo a quello che egli ha detto ci troveremmo in serio imbarazzo. Più o meno ha «assicurato» che la Federal reserve «seguirà la situazione», a settembre «prenderà le misure appropriate», e si è dichiarato «fiducioso che allo stesso modo si comporterà l'Europa». Un bla bla di fronte a una platea scafatissima, che ha ottenuto il successo che meritava. Né il presidente della banca centrale Usa ha potuto nascondere i cattivi dati sulla crescita Usa e sull'occupazione, mentre l'università del Michigan rendeva noto il famoso indice di fiducia dei consumatori, sceso in agosto di otto punti, a 55,7, cioè ai minimi dal 2008. Il fallimento economico dell'amministrazione Obama con annessi e connessi risulta insomma sempre più evidente; mentre la finanza privata pare goda di ottima salute come dimostra il «generoso» e remuneratissimo investimento da 5 miliardi di dollari in Bank of America da parte del fondo Berkshire Hathaway di Warren Buffet. L'81enne guru amato dai democratici ha detto di avere avuto l'ipirazione nella vasca da bagno: forse era immerso della lettura sul Wall Street Journal dei minimi toccati dai titoli altruisticamente soccorsi, tuttora garantiti dalla rete anti-default della Casa Bianca. E anche in Italia i privati che possono stanno comprando sui minimi e rafforzandosi nei propri gruppi: basta vedere le mosse di Paolo Scaroni in Snam, di Diego della Valle in Mediobanca, di Francesco Gaetano Caltagirone in Generali. Benissimo. È l'Europa politica, pubblica, e soprattutto il suo paese trainante, la Germania, che sembrano non sapere che pesci prendere, a parte perdersi in chiacchiere, rancori e sospetti. La locomotiva teutonica si è fermata, segnando livelli di crescita addirittura inferiori all'Italia. Può essere, e forse sarà, un fatto momentaneo. Ciò che di sicuro non è momentaneo è il cortocircuito tra Cancelleria, Bundestag, Bundesbank e Banca centrale europea. Coloro che dovrebbero essere i massimi decision maker di questa parte del mondo, ed indicare la linea a tutti gli altri, Italia compresa, si perdono in dispute marziane dove l'egoismo la fa da padrona. Certo, i soldi dei tedeschi sono di loro proprietà. Ma, come abbiamo scritto qualche giorno fa, tutto appare ben misero ricordando quanto la Germania ha avuto in 60 anni dall'Occidente. O, se vogliamo restare all'ultimo decennio, come fino a ieri il suo sistema creditizio pubblico e privato abbia finanziato i paesi periferici e l'Est europeo perché potessero comprare le loro Audi, le loro centrali, i grandi gasdotti. L'esempio tedesco trova proseliti. La Finlandia ha preteso dalla Grecia garanzie collaterali per partecipare agli aiuti comunitari: del resto non è molto diverso da ciò che la Bce ha chiesto all'Italia e alla Spagna per impedire il crollo dei titoli pubblici. A questo punto solo l'attivazione vera del mitico fondo europeo di salvataggio, o in alternativa gli eurobond, potrebbero raddrizzare la situazione. Ma per i paesi del Nord Europa si tratta né più né meno di «buoni pasto», e noi del Club Med saremmo gli scrocconi. Eppure non sono passati molti anni da quando una crisi finanziaria travolse la Svezia, la Danimarca ed altri paesi scandinavi, e addirittura pochi mesi dal mezzo crac dell'Irlanda. Per non parlare di quella famosa mattina in cui gli islandesi infilarono nella fessura la tessera del bancomat per vedersela risucchiare. Stavolta il rischio che aleggia intorno alla Germania, alla Francia, e che ha già portato al downgrading di Usa e Giappone, non può essere attribuito unicamente alla speculazione ed al notorio doppio gioco delle agenzie di rating. Il debito pubblico di Berlino ha superato in valori assoluti quello dell'Italia, ed in percentuale del Pil è ben sopra l'80 per cento. Il debito giapponese viaggia oltre il 200, quello Usa sta sopra il cento. Ma Usa e Germania rischiano di fermarsi, in barba a tutte le ricette di crescita propinate al resto del mondo. Nessuno pensa seriamente che questi giganti, per quanto acciaccati, possano fallire. La riprova è nel fatto che subito dopo il taglio di rating i Bond del Tesoro americano si sono apprezzati, non deprezzati, e lo stesso sta accadendo per lo yen giapponese. Mentre il Bund tedesco non sembra conoscere crisi. Tutto ciò che cosa rivela? Che la finanza privata e soprattutto i flying capital in giro per il mondo godono di buona salute, hanno recuperato forze e strategie, e non hanno ancora scaricato né la Germania né il Giappone, e neppure gli Usa. E forse non lo faranno, se non altro per mancanza di alternative. Però stanno inesorabilmente e sempre più tenendo al guinzaglio questi che dovrebbero essere i paesi leader del mondo, e soprattutto le loro modeste e super-egoiste classi dirigenti. Che si illudono di dettare precetti aurei di qua e di là, mentre ogni volta che abbaiano vengono giù i mercati. E noi tutti ci rimettiamo un po' di soldini.

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