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Il socialismo municipale del Pd

Marco Causi

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La sinistra studia economia. Ma quella liberale classica proprio non riesce a ingoiarla. Lo confessiamo, è quella che piace a noi. Quella di cui ha bisogno il Paese. Quella che serve a Roma. Per questo siamo sempre sorpresi dai traslatori nostrani del pensiero marxista. Sì, proprio così: marxista. Non è una parola morta. È un fatto. Si chiama «socialismo municipale». Il peggio del peggio. Quello che non ci piace. Eppure proprio a quello si ispira l'ex assessore del comune di Roma, il democratico Marco Causi. Oggetto: Acea. Soggetto: Caltagirone. Complemento: referendum. Aggettivo: delirio. Ora, vada come vada il referendum, si vorrebbe da parte della sinistra che aspira a essere di governo e non più di lotta, il rispetto che meritano gli imprenditori che, invece di fare i rentier, investono i propri soldi. E rischiano. Caltagirone è uno di questi. Caltagirone ha investito in Acea, e un referendum demenziale, dettato dalla faida politica rischia di veder compromessi piani di sviluppo e di investimento della spa romana. Il popolo sovrano deciderà se abrogare o meno i commi delle leggi che oggi tentano di introdurre più efficienza nella gestione delle reti idriche. Giudizio sospeso per ora. Una cosa però è sicura. Quello che traspare dalle affermazioni del parlamentare Pd è l'atavica diffidenza, che spesso rasenta la vergogna, per il capitale privato. Identificato per dettame marxiano come un Satana individualista capace solo di pensare al bene del singolo e mai a quello collettivo. Spiega Causi: «Già oggi, per effetto dell'incapacità della giunta Alemanno a esercitare in modo decente il ruolo di azionista, l'azienda sembra controllata più da uno dei soci di minoranza che non da quello pubblico». Prosegue Causi: «Figuriamoci cosa accadrebbe se i rapporti di forza dovessero essere ribaltati». A cosa si riferisce il parlamentare democratico? Spiega l'intervista del quotidiano la Repubblica, basta ricordare un paio di episodi: la nomina ai vertici di Acea di Giancarlo Cremonesi (ex presidente dei costruttori romani un tempo molto stimato da Caltagirone) e dell'ad Marco Staderini (manager nel cuore del genero dell'ingegnere, il leader udc Casini); la rottura della joint-venture con i transalpini di Suez-Gdf e la conseguente uscita di Acea dalla produzione elettrica, come da esplicito desiderio dell'ingegnere in funzione anti-francese. Vade retro dunque a tutti coloro che come l'Ingegnere Caltagirone, invece, di trincerarsi nella posizione di rentier investe il suo denaro sul mercato finanziario: acquistando azioni in cambio di denaro sonante. Così facendo, rischiando, Caltagirone è arrivato al 15% di Acea. E questo, a chi ha considerato l'azienda un dominio totalmente riservato alla politica, proprio non va giù. Eppure il Pd si esercita a dare lezioni di economia a Berlusconi e a noi tutti. Ebbene, ogni volta che leggiamo Causi ci consoliamo: sono liberali alle vongole. Tanto democratici da non voler riconoscere a un'azionista importante i suoi diritti, stare nel cda e far valere il suo peso nelle decisioni aziendali. Conclusione: sembrano fermi al soviet e a al Comitato centrale. I cda sono un'altra cosa. È inutile che Causi guardi al presidente Cremonesi e all'ad Staderini come ai prodotti della stregoneria. Si rilassi. Sono il frutto di una cosa che si chiama codice civile. Trattasi di economia aziendale non di filosofia idrica. Acea deve fare utili e non socializzare clientes e perdite. Vale per Causi, e anche per Alemanno. Il vero problema nel caso di Acea è di lasciare una volta per tutte la mano pubblica. Quella mano che se fosse per Causi e Veltroni sarebbe diventata francese e non italiana. Avrebbe consegnato a Parigi un'azienda che può svilupparsi nel centro sud e nel Mediterraneo. Noi siamo ancora nonostante il Pdl, quelli più mercato e meno Stato. L'idea che il Comune per bocca di Causi e di quelli come lui, di destra e di sinistra, pensi di incassare cedole sicure tra i 60 e i 70 milioni di euro, ci fa rabbrividire. Lo stato imprenditore non ci piace. Perché non capisce, e Causi lo dimostra che i profitti non sono mai scontati. Eventi particolari, le crisi e l'incertezza incorporata nei fatti umani, potrebbero anche azzerare le cedole. Fatto già accaduto, tra l'altro, nel 2010 quando per sfrondare il bilancio ereditato dalla gestione aziendale legata alla giunta Veltroni, gli azionisti rimasero a bocca asciutta. Si chiama capitale di rischio. Causi vorrebbe trasformare l'azienda in una public company, termine anglosassone che identifica una società le cui azioni sono diffuse capillarmente tra migliaia di piccoli azionisti. Noi speriamo che non avvenga mai. In Italia non funziona. E neppure nel mondo ha grande fortuna. Non esistono neppure in Cina. Quando nel Pd si parla di public company si pensa ad altro: al padrone che non c'è. E invece il padrone piaccia o meno serve.

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