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«La politica aiuti la crescita»

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Perriuscire a ridurre il debito del 5% ogni anno occorre che l'economia cresca a un ritmo del 2%. Non solo. La politica deve fare la sua parte, creare quelle condizioni, «quell'ambiente istituzionale» in cui la «capacità dell'economia di svilupparsi possa dispiegarsi appieno». Mentre il ministro dell'Economia Giulio Tremonti presentava in Consiglio dei ministri il Documento di economia e finanza (l'ex Dpef) per il 2011 con le previsioni sui conti pubblici e lo schema del Piano nazionale delle riforme (Pnr), il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, a Torino indicava la strada da seguire. Una sorta di colloquio a distanza quello tra Tremonti e Draghi che mostrano una visione comune. Entrambi parlano di «rigore» e «impegno di tutti», politica e parti sociali, come condizione della crescita del Paese. E crescita è la parola chiave di Draghi che vorrebbe un cambio di marcia per il Paese. «Se continuiamo a crescere al ritmo dell'1% impiegheremo 5 anni per tornare a livelli pre-crisi». Mentre «la riduzione del debito richiesta all'Italia, secondo le nuove norme europee, non è drammatica se il Paese cresce al 2%». Secondo il Patto di stabilità riformato, che deve essere approvato dal Parlamento europeo dopo l'ok del Consiglio Europeo, i Paesi con debito oltre il 60% del Pil dovranno ridurre l'eccedenza di un ventesimo all'anno. Poi spetta alla politica «equilibrare democrazia e mercato che hanno bisogno l'una dell'altro». E avverte: «un ritorno al protezionismo metterebbe a rischio la democrazia e il benessere collettivo». Ricorda che il tempo del sostegno pubblico straordinario ai bilanci pubblici e alle politiche monetarie è finito. Draghi bacchetta anche chi vorrebbe smantellare l'Europa. Insiste sul concetto che l'Unione Europea «è la condizione essenziale per noi italiani, per progredire ancora» mentre avvisa come, nonostante il recente rialzo, i tassi Bce restano ancora molto bassi». In Europa poi la ripartenza dell'inflazione sta inducendo la Bce a valutare «tempi e modi del rientro dall'impostazione eccezionalmente espansiva». Anche dopo il recente rialzo dello 0,25%, ricorda Draghi, «molto accomodante». Il governatore quindi affronta un altro tema a lui sensibile: il ruolo e la legittimità degli organismi internazionali di tipo tecnico (fra cui il Fondo Monetario internazionale, l'Ocse e l'Fsb da lui presieduto) che stanno cercando «soluzioni condivise» per le riforme economiche necessarie dopo la crisi. Proprio di fronte alle nuove regole che sta scrivendo l'Fsb le banche troppo grandi per fallire, tornate a fare utili, «tendono ora a resistere» riproponendo i conflitti fra oligarchie e azione pubblica più volte accaduti negli Stati Uniti. Di fronte a chi paventa i rischi «di un'opaca tecnocrazia globale formata da regolatori non eletti», Draghi ricorda come questo sia un timore già manifestatosi verso «l'autonomia della banca centrale dal potere politico» e risolto con il principio di «rendere conto delle proprie azioni con trasparenza».

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