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Della Valle vince e manda a casa Geronzi

Geronzi e Della Valle

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Per prima cosa chi ha perso: Cesare Geronzi. E chi ha vinto: Diego Della Valle. Dunque, chapeau. Il proprietario della Tod's, azionista del Leone, non aveva dunque giocato una mossa temeraria  quando, a fine febbraio ha messo sotto accusa la gestione del banchiere romano, divenuto un anno fa presidente delle Generali. All'epoca sostenemmo la bontà della scelta di Geronzi da parte degli azionisti, Mediobanca su tutti. E non certo per motivi campanilistici, ma per due ragioni che di per sé giudichiamo valide ancora oggi. La prima è che vi si opponeva una parte della finanza straniera, principalmente anglosassone, che chissà perché sponsorizzava una conferma a tempo di Antoine Bernheim. Se Geronzi aveva all'epoca 75 anni Bernheim ne contava ben 86: un po' troppi per la prima azienda privata della borsa, strategica per le partecipazioni incrociate con quasi tutta la finanza italiana. E dunque troppo interessato quel tifo. Il secondo motivo era la prospettiva che il curriculum di Geronzi dischiudeva in termini di capacità di fare sistema: Banca d'Italia, Banca di Roma, Capitalia, Unicredit e infine Mediobanca. Il problema è che cosa si deve intendere per fare sistema. Oggi quel termine è divenuto assai gettonato: per esempio, per la difesa di aziende strategiche – da Fonsai a Edison, da Acea a Parmalat – dalle mire straniere. Il ministro Tremonti ha predisposto norme ad hoc, compresa la discesa in campo della Cassa depositi e prestiti, la cassaforte del risparmio postale degli italiani. Noi non ci scandalizziamo per questo ritorno di statalismo: l'obiettivo è la difesa degli interessi nazionali, e se le guerre moderne si combattono con i missili su scacchieri come la Libia, nei paesi avanzati si procede con acquisizioni, scalate azionarie, blitz valutarie. Nessun dubbio che Generali sia un asset fondamentale per l'Italia: non soltanto è il terzo gruppo assicurativo d'Europa, ma appunto controlla ed è controllato dalle migliori e più blasonate banche e industrie nazionali. E non solo, visto che il suo secondo azionista dietro Mediobanca è la Banca d'Italia. Dunque occorreva, e occorre, fare sistema. Ma, appunto, in che modo? Della Valle ha sostanzialmente accusato Geronzi di essere interprete di un meccanismo autoreferente. Di pensare più alla difesa di se stesso che non alle strategie aziendali. Di non rispettare la tradizionale suddivisione dei poteri, che riserva agli amministratori delegati i compiti operativi, lasciando al presidente quelli di orientamento generale, a cominciare dal diritto e dovere di garantire i buoni rapporti tra i soci e con le istituzioni. In ultima analisi il proprietario di Tod's ha difeso le sue prerogative di azionista. Come fece del resto nell'ormai lontano 1999, quando da consigliere della Comit non ebbe esitazioni a denunciare un rastrellamento in corso da parte di Mediobanca e Generali (sempre loro!), e lo fece in questi termini: «Alla Comit si sta verificando un blitz, un'opa virtuale che non costa niente, un gruppo di azionisti con il 23-24 per cento fa quello che vuole e si sta prendendo tutto». Chiese l'intervento del governatore della Banca d'Italia «che quando parla è quasi come un Papa» sia per far rispettare le regole di mercato sia per «pulire il territorio da coloro che hanno rappresentato l'economia italiana negli ultimi trent'anni». Insomma non ci andò certo per il sottile. Della Valle aveva allora 46 anni, e benché fosse già un'icona del made in Italy, era trattato dai salotti alla stregua di un outsider. Ed i poteri contro i quali si rivolgeva erano rappresentati a Mediobanca ancora da Enrico Cuccia (sarebbe scomparso l'anno dopo), alle Generali si facevano la guerra Bernheim e ancora Cuccia, alla Banca d'Italia governava Antonio Fazio. Della Valle ebbe solo il torto di aver lanciato l'allarme in anticipo di pochi anni: la patologia delle scalate bancarie, con Fiorani e Consorte, e Fazio benedicente, è del 2004-2005. Oggi il problema si pone in termini leggermente diversi, nessuna opa è in corso, almeno per ora. Ma i punti di contatto non mancano: se la governance non è chiara, se non si sa chi fa gli interessi di che cosa, l'azienda si indebolisce e si espone al rischio dei poteri esterni. L'epoca delle azioni che non si contano ma si pesano, secondo il dogma di Cuccia, è fortunatamente tramontata; ma non è tramontata quella dei poteri d'interdizione degli azionisti minori a danno di quelli maggiori; o peggio degli amici del giaguaro. Nelle Generali il sospetto che questo ruolo sia stato svolto da Vincent Bolloré, finanziere bretone grande elettore di Geronzi, è forte. Né bisogna dimenticare che nella compagnia Bolloré aveva costuito un asse con Ana Botin, delfino designato alla guida del gruppo spagnolo Santander e fino all'altro ieri anche lei nel cda (si è dimessa il 4 aprile), mentre in Mediobanca lo stesso Bolloré e la francese Groupama hanno oltre il 10 per cento del capitale, a cui si aggiunge di nuovo il circa due per cento del Santander. E che Groupama ha appena tentato di scalare la Premafin di Antonio Ligresti, controllante di Fondiaria-Sai, a sua volta azionista di Mediobanca e del restante salotto buono della finanza italiana: qui sono dovuti intervenire prima Giulio Tremonti poi la Consob per imporre ai francesi un'opa sia su Premafin sia su Fonsai, dopodiché i cugini d'oltralpe hanno (per ora) battuto in ritirata. Tutto questo per dire che l'era delle scalate invisibili e al di fuori delle regole di mercato è tutt'altro che alle spalle: solo che rispetto a qualche tempo fa sono i sistemi ed i blocchi finanziari di un paese, in questo momento in particolare la Francia, a muovere all'assalto di quelli che identificano come punti deboli dell'Italia. E dunque la posta in gioco è molto più alta. Sotto questo aspetto, non c'è dubbio che il «fare sistema» di Geronzi ha fallito. Ora, con lui uscito di scena, e ristabilita la governance con Giovanni Perissinotto amministratore delegato e Francesco Gaetano Caltagirone nel ruolo di presidente ad interim, vedremo come il Leone triestino saprà difendere non solo la propria italianità, ma i propri interessi industriali. Mr. Tod's ha vinto una battaglia, non ancora la guerra. Anche se finora – come Leonardo Del Vecchio, un illustre socio delle Generali che mesi fa aveva abbandonato il board della compagnia più o meno per gli stessi motivi – Della Valle ci ha fortunatamente abituato ad essere predatore, non preda.

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