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Wall Street affonda. Il petrolio cala

Petrolio

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Le tensioni in Libia, accentuate dalle difficoltà in Arabia Saudita, e il downgrade da parte di Moody's della Spagna innescano un'ondata di vendite che affonda Wall Street, che accusa il maggiore calo da agosto, con il Dow Jones che scende sotto la soglia psicologica dei 12.000 punti. Nella seduta di ieri, il Dow Jones ha chiuso perdendo 228,48 punti, meno l'1,9%, a 11.984,61 punti, con Caterpillar in calo del 3,9%, Exxon Mobil del 3,6%. Il Nasdaq cede 50,7 punti, o l'1,8%, a 2.601,02 punti. La pressione sugli indici si è intensificata a fine giornata dopo le tensioni in Arabia Saudita, con la polizia che ha sparato per disperdere 200 sciiti nella città di Qatif. Il downgrade della Spagna ha condizionato la seduta fin dall'inizio, con il primo deficit commerciale cinese da un anno. Battuta d'arresto per il petrolio sui mercati internazionali. Sulla crescita dei prezzi è intervenuto il ministro Tremonti alla trasmissione «Anno Zero». «La speculazione è tornata su cibo e petrolio in modo violentissimo in questi mesi: da noi è carovita, nei paesi africani, dall'Atlantico fino all'Oceano indiano, è vita, è questione di vita o di morte». Sul mercato di New York il greggio ha chiuso gli scambi in calo dell'1,6%, a 102,76 dollari al barile. Sulla piazza di Londra il Brent con consegna ad aprile ha perso l'1,9% a 113,79 dollari. Il greggio resta comunque sopra la soglia dei 100 dollari al barile, registrando un rialzo del 23% rispetto all'anno scorso a causa della crisi in Libia. La produzione di petrolio del Paese arabo si è praticamente dimezzata, ha detto nei giorni scorsi Choukri Ghanem, direttore generale della compagnia petrolifera statale Libyan National Oil Corporation (Noc). A breve, questione di pochissimi giorni, l'Eni interromperà del tutto la produzione di petrolio in Libia, già ridotta al lumicino. «Credo che la produzione di petrolio in Libia si fermerà molto presto, questione di giorni». A delineare il quadro della presenza del Cane a sei zampe nel Paese di Gheddafi è l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ieri a Londra per presentare agli analisti finanziari il piano industriale quadriennale. Lo stop però, oltre ad essere «temporaneo» non avrà alcun impatto sugli obiettivi della società che prevede un aumento della produzione di idrocarburi di oltre il 3% l'anno da qui al 2014. Una precisazione necessaria giacchè l'Eni è il primo operatore energetico internazionale in Libia. La produzione in questo Paese è già limitata, circa 500 barili di olio equivalente al giorno. Quindi, se la crisi dovesse durare 100 giorni, l'impatto sarebbe di 50.000 barili sulla media annua (un numero che si confronta con l'obiettivo annunciato nel piano di raggiungere nel 2014 una produzione totale di idrocarburi di oltre 2 milioni di barili al giorno). Anche guardando a profitti e cash-flow, l'impatto negativo della crisi libica su produzione e costi di approvvigionamento sarà completamente compensato dall'aumento del prezzo del petrolio e dai pre-pagamenti inferiori dei contratti gas take or pay. Non appena la crisi terminerà, Eni sarà quindi in grado di riprendere normalmente l'attività (che peraltro prosegue nel gas per approvvigionare il mercato domestico) nei normali campi di produzione che non sono stati minimamente danneggiati.

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