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Carburante caro per tasse e «cartelli»

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Enon, come qualcuno ha ipotizzato, di chi raffina e distribuisce petrolio in Italia. I petrolieri non ci stanno. E ribattono alle polemiche sul caro-benzina, scaturite anche da servizi dedicati a questo tema da TG1 e Quattroruote, con i dati alla mano. «In Italia – spiega Pasquale De Vita, presidente dell'Unione Petrolifera – non c'è alcuna anomalia» del prezzo del carburante. Che è aumentato in tutta Europa, e non solo nel nostro Paese, a causa della svalutazione dell'euro rispetto al dollaro». Che, dice De Vita, ha letteralmente annullato i benefici derivanti dal calo del prezzo del greggio, che è valutato nella moneta americana. Per spiegare il meccanismo, basta convertire in euro il Brent, l'indice in dollari del costo del petrolio non lavorato. «Il 7 maggio 2008 il Brent ha raggiunto la cifra record di 119,53 dollari al barile. Che, al cambio di allora, erano 77,5 euro al barile. Il 7 gennaio 2011, il Brent era di 94,03 dollari al barile, pari a 72,5 euro. La svalutazione della moneta europea, che in questi due anni ha perso circa il 16%, ha quindi ridotto il risparmio. Che è stato di 26 dollari al barile in Usa, e di solo 5 euro qui in Europa». Che poi il costo del petrolio salga continuamente, aggiunge De Vita, non è responsabilità dei soli petrolieri. «Il mercato del carburante – sottolinea il presidente di UP – non è guidato dalle leggi di domanda e offerta. I paesi produttori hanno grandi riserve che non immettono sul mercato proprio per far crescere i prezzi. E anche le tasse locali incidono sul prezzo finale al consumatore». «Anche l'industria petrolifera ha le sue responsabilità: ad esempio, dovremmo ristrutturare la rete di distribuzione, puntando ad un maggior sviluppo dei self service. Per far questo, però, abbiamo bisogno che il disegno di legge del ministero dello Sviluppo economico vada avanti».

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