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Leonardo Ventura A Bruxelles per riscrivere le regole che tengono insieme l'euro.

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Econ un tempo limite: entro l'anno se possibile per far partire già da gennaio una nuova sessione comunitaria di bilancio. L'Europa è al lavoro da ieri per dare il via a una nuova era di politica economica europea comune. La road map è già fissata. Ieri a Bruxelles si è riunita la task force sulla governance economica, il gruppo di studio guidato dal presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Oggi parte invece l'eurogruppo e l'Ecofin. Sul tavolo appunto la riforma del Patto di stabilità e crescita ma anche le questioni della tobin tax, gli sconti sul calcolo del debito chiesti da alcuni paesi, Polonia in testa. E ancora la tassa sulle transazioni finanziarie. Sulla quale tuttavia, lo ha dichiarato il presidente dell'Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker, un accordo non sembra alla portata nel corso di questo vertice. Il cui piatto forte resta il nuovo Patto. A spiegarlo è stato il ministro dell'Economia italiano Giulio Tremonti. «L'Ecofin straordinario serve per riscrivere il nuovo Patto di Stabilità e crescita. Un atto che marcherà la fine delle politiche national oriented e la formazione di «una vera e nuova politica economica europea comune, coordinata e collettiva, non più eclettica ed estemporanea, diversa per Stato e Stato». Il numero uno di via XX Settembre ha spiegato pure i nuovi contenuti del Patto di stabilità e crescita: «Ogni anno, da gennaio ad aprile, tutto ruoterà per tutti gli Stati intorno alla sessione di bilancio europea. Ed è così che cambieranno e per tutti le sedi e la forma della politica economica europea. Con la sessione di bilancio prenderà forma un luogo politico nuovo. L'obiettivo appunto è quello di dare le nuove regole entro la fine dell'anno. E sebbene ci sia un accordo di massima tra le parti sulla «automaticità» delle sanzioni per i Paesi che non rispettano gli obiettivi di bilancio, i partner europei devono trovare l'accordo sui loro contenuti: dalla possibilità di sospendere il diritto di voto ai Paesi non in regola - una possibilità peraltro definita poco sempre da Juncker - a quella di un taglio ai fondi strutturali, sgradita ai quei Paesi che da questi fondi più attingono, come per esempio la Spagna.

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