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La Cgil ignora la crisi

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Il segretario della Uil Luigi Angeletti (s) e Raffaele Bonanni (d)

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La Cgil lancia il partito della spesa pubblica. E il Congresso di Rimini, con la presenza in prima fila dei leader della sinistra, diventa una sorta di prova sul tema del lavoro per costruire un'alternativa al centrodestra. L'Europa vuole piani di austerità. Ma Epifani chiede di riaprire per tre anni il turn over nella pubblica amministrazione. «Per farci finire come la Grecia nel 2013» commenta il ministro del Lavoro Sacconi che incassa minacce anonime via blog. La prima giornata ieri si è aperta con la relazione, l'ultima di Guglielmo Epifani, che a settembre lascia il timone. Ma si ricorderà anche per i fischi a Bonanni e Angeletti (che alla fine delle 43 pagine imboccano la porta lasciando sulla sedia la marmellata della pace, la leccornia della siciliana Ribera regalo di Cgil agli ospiti). Ovazioni invece per Oscar Luigi Scalfaro, don Ciotti e Nichi Vendola, mix di applausi e fischi alla leader degli industriali Emma Marcegaglia, accoglienza tiepida a Bersani e Di Pietro. E c'era la governatrice del Lazio Renata Polverini. «Ho partecipato col cuore - ha detto - perché per 27 anni mi sono occupata di sindacato». È in questo clima che Epifani illustra la ricetta per abbassare il tasso di disoccupazione «dall'attuale 10 al 7,5% entro la fine del 2013» indicando una «terza via» per uscire dalla crisi («aumentare stabilmente il tasso medio di crescita del Pil»). La premessa sono i numeri neri. «Un milione di posti di lavoro persi, un terzo al sud», una «forbice che separa il lavoro stabile e precario, che nell'industria ha raggiunto l'80% delle nuove assunzioni» e la «voragine nell'occupazione giovanile mentre quella femminile è in grave sofferenza». Poi la richiesta al governo. «Un piano triennale per portare la disoccupazione al 7,5%». In tre punti. Uno. Stimolo fiscale su ricerca, innovazione e formazione. Due. Allentare il patto di stabilità degli Enti locali, in rapporto ai lavori di messa in sicurezza di campagne e città, di riconversione ecosostenibile, di risparmio energetico di case, uffici, industrie. Tre. Riaprire il turn over in scuola, università, pubbliche amministrazioni. «Si creeranno subito 150 mila posti di lavoro - dice Epifani -, la riconversione verso la green economy ne produrrebbe almeno 70 mila. Un piano di micro opere infrastrutturali altri 150 mila e lo sblocco del turn over per 3 anni altri 400 mila». Ma il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi critica i numeri. «Chiedere 400 mila nuovi posti di lavoro nel settore pubblico è pazzesco - dice Sacconi - comporta uno sforzo economico che la nostra p.a. non è in grado di sostenere; significa che nel 2013 rischiamo seriamente di fare la fine della Grecia». E commentando i fischi a Bonanni e Angeletti aggiunge: «È una strana Cgil quella che riserva una standing ovation a un vecchio dc come Scalfaro e fischia i segretari generali di Cisl e Uil soprattutto. I fischi per me erano scontati ma quelli a Cisl e Uil sono più preoccupanti». Critiche sono arrivate anche dalla numero uno di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha sottolineato come la relazione di Epifani sia stata «insufficiente» sulla crisi europea, a partire dalla Grecia, per finire con gli ultimi sviluppi in Spagna col crollo delle Borse. Per quanto riguarda i punti politici, la leader degli industriali si è detta «nettamente contraria» alla proposta di sbloccare il turn over nel pubblico impiego: «Non ce lo possiamo permettere» a causa del debito pubblico. «Belle e interessanti», a suo giudizio, le proposte su ricerca, investimenti e innovazione. «Siamo pronti a ridiscutere del modello contrattuale - ha concluso -, ma possiamo accettare solo piccole modifiche, anche perché con la Cgil abbiamo già firmato molti contratti dopo quell'accordo». Nella sua relazione Epifani non ha nascosto le difficoltà nei rapporti unitari con Cisl e Uil e ha citato l'ultimo caso, quello della firma dell'avviso comune sull'attuazione del disegno di legge sull'arbitrato e il diritto del lavoro. E ha chiesto alla sua organizzazione «di discutere e condividere un percorso che freni la completa lacerazione dei rapporti e dica su quali terreni ricostruire un percorso di lavoro comune».

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