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Dubai stende le Borse, ma l'emirato ha i soldi per pagare

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Dubai - In fumo 152 miliardi di euro di capitalizzazione con perdite per i principali indici azionari superiori al 3%

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Il mercato, in particolare quello borsistico, sta avendo una reazione esagerata alla crisi finanziaria nel Dubai. È sintomo di nervosismo. Cerchiamo di capire quanto sia giustificato sia in relazione al caso particolare sia in generale. In Dubai è successa la cosa più ovvia di questi tempi. L'emirato ha deciso di usare i proventi del petrolio, che a un certo punto finiranno, per investirli in nuove attività. Quali? Trasformare un pezzo di sabbia in un ambiente artificiale attraente per rendere il luogo un centro globale di commerci con un megainvestimento immobiliare in parte sostenuto da capitali propri ed in parte a debito. La recessione globale ha rallentato i ritorni di cassa - clienti che comprano le abitazioni o investitori che spostano il loro business in quel luogo - e ciò ha creato dei problemi di rientro dal debito. L'emirato ha chiesto alla banche creditrici una moratoria di sei mesi per riorganizzare il modello finanziario in modo che si adatti a ritorni più lenti e minori del previsto per un po'. Le Borse hanno percepito questa parziale insolvenza come un segnale di crisi peggiore ed hanno fatto cadere i valori azionari delle banche creditrici, parecchie europee. A mio parere la reazione è stata esagerata. È difficile che l'emirato cada in vera insolvenza. Infatti sta trasformando altri investimenti in cassa per coprire il buco ed ha bisogno di un tempo tecnico per riuscirci, in particolare la riconversione di fondi costruiti secondo la finanza islamica, che non ammette il profitto diretto, piuttosto complicati da smontare o riconvertire. Niente di grave. Inoltre, nessuno ha interesse ad un fallimento del Dubai per l'effetto domino su progetti analoghi nella regione. Pertanto i soldi verranno fuori. Alla più sporca, l'emirato può dare in garanzia i proventi futuri del petrolio. L'effetto amplificato di questo evento risente più di un clima generale nella psicologia del mercato che non di un'analisi razionale e tecnica. C'è l'evidenza che la ripresa ancora non è solida. Il mercato borsistico globale, dal marzo 2009, ha tentato di anticiparla gonfiando le buone notizie di catastrofe evitata, inventando una ripresa che non c'era e che era solo sostenuta dalle stimolazioni d'emergenza. La delusione, ora, amplifica le notizia negative. Ma c'è veramente il rischio di una prossima catastrofe bancaria creata dalle insolvenze? Da un lato non c'è motivo per temerla in quanto la ripresa mondiale, pur lenta e prevista durare almeno un triennio con alti e bassi, comunque è in atto. Dall'altro, se il mercato cade nel pessimismo irrazionale produrrà una profezia autorealizzantesi. Per questo il miglior commento è quello di raccomandare nervi saldi e realismo: è normale che nelle code di una megarecessione avvengano crisi come quella del Dubai, ma le risorse per contenerla ci sono e la pur lenta ripresa ridurrà l'intensità di questa e di altre. Calma.

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