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Crisi, il made in Italy punta sulla tecnologia

Paolo Zegna

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La grande sala dell'hotel Ritz è allestita con oltre 50 tavoli. Sembra di assistere ad un torneo di scacchi. Le sedie poste una di fronte all'altra e, su un lato, due piccole bandiere che si incrociano tra loro. Quella italiana e quella singaporese (una linea bianca verticale in basso, una rossa sopra e, nell'angolo in alto a sinistra, una mezzaluna con cinque stelle). Inutile cercare tracce di Garri Kasparov o del compianto Bobby Fisher. Niente scacchi, è l'ora dei B2B. Business to Business. Impresa verso impresa. È questo, in fondo, il cuore della missione imprenditoriale organizzata da Confindustria, Ice e Abi e guidata, tra gli altri, dal viceministro per lo Sviluppo Economico con delega al Commercio Estero Adolfo Urso. Ottanta imprenditori italiani messi faccia a faccia con i loro colleghi asiatici. Per parlare, confrontarsi, ma soprattutto creare opportunità di affari. E per rendere ancora più efficace questo interscambio stavolta si è puntato su una «missione di filiera». A Singapore sono arrivate soprattutto aziende che presidiano settori ad alto contenuto tecnologico: dalla biomedica alla meccanica di precisione, passando per l'elettronica, le nanotecnologie, le energie alternative e rinnovabili. Non è un caso visto che il 19% del Pil singaporese è frutto di attività manifatturiere e che di questo ben il 30% è riconducibile all'industria dell'ingegneria meccanica. E la Malesia, dove la missione si traferirà oggi per la seconda parte di incontri bilaterali, non è da meno: leader mondiale nella produzione di componenti elettronici e primo Paese nel sud est asiatico per l'assemblaggio e l'esportazione di autoveicoli. «A trainare l'economia di Singapore - sottolinea Paolo Zegna vicepresidente di Confindustria con delega all'internazionalizzazione - è sempre più un'economia basata sulla conoscenza». Una scelta che paga visto che, nonostante la crisi non abbia risparmiato queste territori, la crescita non si è arrestata. Così, se l'Italia vuole aggrapparsi al treno asiatico e riprendere a correre, non può essere da meno. Le parole d'ordine sono alta qualità, ricerca, hi-tech. Che è poi il segreto della STMicroelectronics azienda italiana partecipata dai francesi che da quarant'anni ha scelto Singapore come base per la propria attività in Asia (area da cui provengono il 54% delle entrate) e che si pone al primo posto mondiale per la produzione di semiconduttori. Un esempio per chi affronta, non senza timore, questa nuova avventura. Così ecco scendere in campo marchi noti come Technogym, Ansaldo sistemi industriali, Marelli Motori. Ma anche piccole e medie imprese che hanno fatto dell'eccellenza la loro ragione d'essere. «Siamo qui per capire se esiste la possibilità di creare sinergie - spiega Raffaele Liberati responsabile Est della Elt, industria con 800 dipendenti e sede a Roma che produce sistemi di difesa -. In questo settore siamo i quarti nel mondo e le prime tre sono tutte americane». E mostra orgoglioso una foto scattata in Afghanistan di un blindato tedesco che utilizza un apparecchio per la sorveglianza elettromagnetica «made in Italy». Non è da meno l'Ipm group di Arzano (Na). Nata 51 anni fa dalla famiglia De Feo, era specializzata nella costruzione di telefoni a gettoni. Poi la telefonia mobile ha costretto ad un'inversione netta. Oggi con 150 dipendenti, realizza sistemi di lettura di passaporti elettronici oltre ad operare nel settore dei trasporti (dal trasporto intelligente ai sistemi audio video all'interno delle metropolitane). «Abbiamo cercano nuovi utilizzi per la tecnologia elettronica che avevano già sviluppato» spiega il direttore dell'area vendite Antonio D'Albore. Non manca poi chi ha fatto del lusso la propria ragione d'essere. Come Interna che si occupa di arredi su misura per catene di alberghi o Carlo Izzo che da 25 anni produce nella sua Siracusa gioielli artigianali unici al mondo (sono stati indossati anche da Monica Bellucci nel film di Giuseppe Tornatore «Malena»). Dopotutto, come sottolinea Zegna, «l'Italia è conosciuta ovunque per le sue "4 A": alimentare, abbigliamento, arredamento e automazione. Anche se quest'ultimo, forse, è un aspetto della nostra capacità industriale non ben conosciuto». Almeno fino ad oggi.

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