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Per le banche è arrivato il momento del coraggio

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Le banche italiane stanno meglio di quanto si sarebbe potuto immaginare, lo stress test all'italiana (che è un complimento, perché a via Nazionale hanno cominciato a mettere alla prova la tenuta delle banche molto prima che il governo americano avviasse la sua campagna di controlli) ha dato risultati incoraggianti. L'economia però frena e lo fa con un brusco meno 5% per il prodotto interno nel 2009 e con il rischio di una disoccupazione in salita fino al 10%. Sono questi i punti di riferimento dell'appello di Mario Draghi alle banche, la parte più interessante della relazione. Perché il cammino corretto, per il governatore, è stretto tra la frenata dell'economia (dato di fatto, ma appartenente più al 2009 che al 2010) e la inevitabile prudenza con la quale si devono muovere le banche, ma deve anche portare a non interrompere il sano flusso di credito. Allora la parola chiave per capire il Draghi di questi giorni è "lungimiranza". E' l'atteggiamento che ha chiesto alle banche e tradotto in termini operativi significa che per il governatore (che non potrebbe mai affermare in modo esplicito un'idea del genere) le banche dovrebbero un po' forzare, con raziocinio, alcuni dei criteri di iper-prudenza applicati dall'inizio della crisi. Lungimiranza è un concetto che va preso alla lettera, proprio nel senso di guardare lontano. Perché guardando solo all'oggi della crisi si rischia di far morire per asfissia di credito (espressione che rubiamo alla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) aziende che sono invece in condizioni fondamentalmente buone. Sempre esplicitando, più di quello che egli stesso potrebbe permettersi, le parole del governatore, potremmo dire che Draghi chiede alle banche, o meglio ai loro dirigenti, di lavorare un po' di più. In tempi difficili non si può installare il pilota automatico e farsi un pisolino. Bisogna faticare, caso per caso, sulle carte e sull'analisi della storia delle aziende, delle conoscenze personali, delle loro prospettive. Prendersi qualche rischio, certo, ma non è meno rischioso accompagnare il sistema produttivo verso il declino. Una situazione eccezionale, come quella del 2009 (rappresentata da quei due numeri che abbiamo visto prima)comporta scelte eccezionali, una situazione che comunque è passeggera comporta scelte lungimiranti. Altrimenti il mondo del credito, dopo aver asfissiato le imprese, riserverebbe a sé stesso lo stesso destino. Analisi e esortazione sono pienamente condivisibili. Resta però una questione in sospeso: perché la Banca d'Italia e il governatore, dopo aver accertato la colpevole pigrizia delle banche, non escono dalla ritualità degli appelli e non passano a una politica più attiva, come chiesto tante volte dal ministero dell'economia, di controllo e quindi di sostegno ai flussi del credito? Gli strumenti ci sarebbero, da quelli leggeri, come gli inviti verbali ma ripetuti e pronunciati rivolgendosi pubblicamente ai banchieri, a quelli centrati sul mercato, come il rafforzamento dei consorzi fidi, fino a forme di intervento più coercitive.

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