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di NICOLA DE MURO «NON vendo agli spagnoli né ora né mai».

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C'è stata un po' di turbolenza nelle ultime settimane negli stabilimenti di Spoleto. Voci che correvano incontrollate tra i dipendenti e i manager. E che sono arrivate sino alla stanza più in alto, fino alla poltrona del presidente, titolare insieme alla sorella del 100% del'lazienda che fattura 140 milioni di euro. Voci che davano per vicina, o quantomeno per possibile, la cessione dell'azienda ai grandi boss mondiali dell'olio, il colosso agroalimentare spagnolo Grupo Sos Cuétara. Un gigante che controlla circa il 15% del mercato mondiale dell'olio e una quota simile anche in Italia, avendo acquisito, nel giro di poco tempo, marchi del calibro di Carapelli e Olio Sasso, nonché, pochi giorni fa, Friol. L'intervento di Monini in persona serve a spegnere ogni possibile illazione. A far nascere le indiscrezioni di mercato, hanno contribuito, due fatti: l'iperattivismo degli iberici in Italia, con la loro dichiarata volontà di proseguire nella campagna di acquisizioni nella penisola, a cui si è unito un recente incontro tra Zefferino Monini e i capi della holding spagnola, il signor Eduardo Sos e il presidente del Grupo, Jesùs Salazar. Ma si trattava di un incontro allargato anche ad altri operatori del settore, come spesso accade a chi si confronta quotidianamente sui mercati internazionali. «Sono persone cordiali. Ma negli affari è tutt'altra cosa» spiega Monini, che poi vuole precisare: «Nel 2003 con mia sorella ci siamo ripresi quel 35% di azioni Monini in mano alla Star, della famiglia Fossati, pagandoli circa 25 milioni di euro perché vogliamo continuare a fare ciò in cui crediamo. I Fossati volevano che noi producessimo un olio standard per vincere la sfida dei volumi. I volumi ci vogliono ma noi lottiamo anche per un extravergine di nicchia, di qualità eccelsa. Noi uniformati a Carapelli e Sasso? Per carità». E dal tema della qualità scaturisce l'appello a tutta la filiera olivicola, compreso il ministero delle politiche agricole, perché l'Italia reagisca, con un piano nazionale, alla sfida con la Spagna. Finora siamo sconfitti perché, sostiene Monini, «abbiamo perso di vista l'efficienza nella produzione, e cioè nel campo. L'industria si sente abbandonata dalla produzione: troppo lunghi i tempi dalla raccolta alla molitura. Se l'oliva matura troppo il prodotto è scadente. In Italia in alcuni casi si arriva anche a una settimana di tempo, contro le 12 ore in Spagna, Marocco, Australia. I produttori devono impiantare nuovi ulivi, investire, meccanizzarsi, che non vuol dire massificare il lavoro, ma renderlo più efficiente. Avranno margini maggiori anche loro».

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