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Rcs, i poteri forti

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azzoppano Colao

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Vittorio Colao l'amministratore delegato del gruppo Rcs Mediagroup resta al suo posto. Con a fianco un tutor, però, il presidente del gruppo editoriale Piergaetano Marchetti, che di fatto limita le sue deleghe operative. Insomma la battaglia che si doveva giocare all'interno del Patto, una sorta di resa dei conti all'interno di uno dei salotti più blasonati della finanza italiana, alla fine è finita con un pareggio. E dire che le parti in campo erano abbastanza agguerite. Da una parte gli sponsor di Colao, quei Bazoli e Passera che lo avevano supportato nella fase di investitura. E un abbattuto Diego Della Valle, nervoso per le vicende che hanno colpito la sua Fiorentina al punto, raccontano le indiscrezioni, dia aver litigato con Marchetti sulla linea di condotta da tenere sul dossier. Dall'altro una schiera di nemici. Un plotone a quanto sembra che negli ultimi mesi ha ingrossato le sue fila. Un fronte degli scontenti che capeggiato dal presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, «voglioso di riaffermare il suo comando di Capitalia e di regolare i conti con un Corriere della Sera che lo ha maltrattato» scriveva nei giorni scorsi il sito internet Dagospia. La schiera di chi chiedeva al testa di Colao si è arricchita anche del direttore del Corriere, Paolo Mieli e dell'esercito dei 600 giornalisti non proprio contenti delle scelte aziendali, lesive secondo il corpo redazionale delle norme contrattuali. E ancora contro l'attuale ad si sono messi via via «i rappresentanti di Fiat, Pirelli, Sai, Fondiaria, Merloni oltre ai Romiti che due anni fa cedettero il passo all'uomo scelto da Banca Intesa» prosegue Dagospia. Un fiume in piena che si è ingrossato anche per ragioni strettamente economiche. Il piano editoriale del manager non ha portato quei risultati esaltanti che gli azionisti si aspettavano sui bilanci e di riflesso sui titoli. Dopo le fiammate per gli attacchi speculativi dell'immobiliarista Stefano Riccucci il valore dell'azione è tornato a vivacchiare. Insomma le ragioni per dare il benservito c'erano tutte. Ma Mieli e soci non ce l'hanno fatta. Colao è rimasto al suo posto, per ora. Sullo sfondo dello scontro durata ieri oltre tre ore restano solo le ipotesi. La prima quella di una sorta di compromesso per evitare rotture traumatiche nel salotto buono del capitalismo italiano. L'altra il dietrofront di Geronzi. La fuoriuscita di Colao avrebbe significato uno scontro frontale con il tandem di controllo di Banca Intesa. Una contrapposizione da evitare in un un momento in cui non sono nascoste le voglie predatrici della banca milanese su quella romana. Meglio soprassedere, dunque, in attesa di tempi migliori. Eppure un segnale di sfiducia bisognava comunque darlo. E la soluzione migliore era quella di mettere sotto osservazione, il più stretta possibile l'operato di Colao. Così il Patto di sindacato ha chiesto al presidente del gruppo editoriale, Marchetti, di approfondire con l'amministratore delegato Colao le linee strategiche e di governance «più idonee a secondare una fase di rafforzamento e di ulteriore crescita del core business dei quotidiani, come pure degli altri comparti». Insomma il capo resta, non viene allontanato, ma in prospettiva c'è un possibile ridimensionamento del ruolo del manager. Per ora quindi le indiscrezioni di stampa degli ultimi giorni restano tali. Di Colao si è infatti parlato di un possibile coinvolgimento in nuovi incarichi come manager pubblico, ad esempio in Alitalia o nelle Poste. Tutto rinviato, ma solo per ora. Lo stesso Colao, del resto, sarà chiamato a valutare se rimanere al proprio posto anche qualora i suoi poteri venissero in qualche modo ridefiniti.

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