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Tessile, dialogo Europa-Cina

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Stretta tra queste due emergenze, la Commissione Ue invierà domani una delegazione di esperti a Pechino per cercare una via di uscita che metta d'accordo le diverse esigenze dell'industria e dei grandi distributori, che marcano anche le diversità tra gli Stati membri su come uscire dalla crisi. Da Pechino continuano ad arrivare cifre allarmanti: nel 2007 la Cina avrà il 31,4% del mercato tessile europeo, ha annunciato oggi il ministero del Commercio di Pechino, precisando che la quota riguarderà le dieci categorie di prodotti contemplate negli accordi con l'Ue. Nel 2004 la quota cinese sugli stessi prodotti era del 12,4%. Il sito internet del ministero precisa anche che la crescita prevista è la conseguenza dell'accordo di giugno, che limita l'incremento delle esportazioni all'8,5-12,5% fino al 2007. Secondo le ultime statistiche, le esportazioni del tessile cinese verso l'Ue sono aumentate nel primo semestre 2005 del 130% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, per una cifra complessiva di 8,65 miliardi di dollari. Sempre ieri, notizie poco confortanti sono giunte anche dal fronte dei grandi distributori. Uno dei più grandi gruppi francesi, che ha voluto mantenere l'anonimato, ha riferito che sono almeno 50 milioni i maglioni bloccati nei porti europei. «La più parte delle merci bloccate corrisponde ad arrivi avvenuti tra il 12 e il 20 luglio scorso», ha riferito il direttore generale del gruppo. «Noi speriamo in uno sblocco con una decisione di Bruxelles di liberare parte delle quote del 2006», ha aggiunto, rilevando che lo sblocco potrebbe riguardare però solo una ventina di milioni di capi. Il trasferimento di parte delle quote 2006 sul 2005 è una delle ipotesi flessibili che Bruxelles sta negoziando con le autorità cinesi, assieme all'ipotesi di uno scambio di quote tra un prodotto e l'altro. Finlandia, Olanda, Svezia e Danimarca, Paesi che non hanno industrie tessili, hanno però chiesto alla Commissione Ue di eliminare tutte le limitazioni all'export cinese. E anche la Germania si è associata a questa richiesta. Diverso il punto di vista dei Paesi produttori. L'Italia, con il ministro delegato al commercio estero Adolfo Urso, ha ribadito la necessità di «far rispettare i termini dell'accordo dello scorso giugno».

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