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Gli enti locali bocciano il terminal Addio a un progetto da 390 milioni

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L'Enel aveva deciso di costruire una centrale termoelettrica da 640 megawatt a Celano, nel Brindisino. Per alimentarla era stato progettato un terminal portuale, dove consentire l'attracco in sicurezza delle petroliere. Comune e Provincia si scagliarono subito contro il piano (all'epoca da 14 miliardi di lire) e dopo un lungo braccio di ferro non se ne fece niente. Un precedente che non prometteva niente di buono per il progetto di un rigassificatore e di un terminal gasiero da 390 milioni di euro presentato nel 2002 dalla Brindisi Lng (società formata al 50% ciascuno da Enel e British gas). Gli enti locali, questa volta anche con il sostegno della nuova giunta regionale di Nichi Vendola, si sono messi in tutti i modi di traverso. E alla fine, proprio la settimana scorsa, l'Enel ha gettato la spugna. Venduta la partecipazione in Brindisi Lng, l'azienda elettrica esce dall'avventura del terminal gasiero. A realizzarlo, se ci riusciranno, saranno gli inglesi. Una disfatta per l'Italia, messa all'angolo da ambientalisti ed enti locali arroccati nella difesa di uno sviluppo turistico che non arriva. Poco importa che si perdano così quasi 400 milioni di investimenti, 300 posti di lavoro (senza contare l'indotto) e la possibilità di incrementare le disponibilità energetiche di un Paese costantemente sull'orlo del black-out. L'opera, infatti, dovrebbe movimentare 8 miliardi di metri cubi di gas metano l'anno, il 7% del totale prodotto e consumato in tutta la Penisola. A perderci sarà pure il Porto di Brindisi, visto che il terminal potrebbe avere ricadute positive per 6-7 milioni di euro l'anno, senza nessuna limitazione al traffico portuale esistente (sono previste solo un centinaio di navi metaniere cariche di idrocarburo liquido proveniente dall'Egitto e che sarà vaporizzato a Brindisi). Ma c'è di più. La vicenda del terminal gasiero di Brindisi sta contribuendo a creare una pericolosa incertezza tra i grandi investitori internazionali disposti a spendere in Italia. Quando ci sono da mettere sul piatto centinaia di milioni di euro, infatti, i grandi gruppi non vogliono correre il rischio di stop burocrati. E quando un Paese non offre le necessarie garanzie, diventa molto difficile attrarre nuovi capitali. Gli inglesi della British gas, è chiaro, ormai in questa operazione ci sono e dunque non hanno alternativa che andare fino in fondo. «Faremo valere tutte le autorizzazioni concesse dallo Stato e bloccate sul territorio», ha detto l'amministratore delegato di Brindisi Lng, David Robottom. Ma è chiaro che far partire i cantieri e far entrare in esercizio l'impianto entro il 2008 non sarà facile. Se ci riuscirà, però, tutto il guadagno andrà nelle tasche del gruppo britannico, e non è un caso che per avere garanzie sull'opera sia intervenuto personalmente sul governo italiano il premier inglese Tony Blair. Battere l'ostilità dei brindisini per il rigassificatore sembra però un'impresa impossibile. Così perlomeno è stata valutata dall'Enel, che adesso reinvestirà i soldi risparmiati a Brindisi da qualche altra parte nel mondo, magari finendo per creare sviluppo e occupazione in uno dei Pesi esteri nei quali si sta concentrando più di recente, come la Francia o la Romania e Bulgaria nell'Est europeo. (2 - continua. La prima puntata è stata pubblicata il 18 giugno 2005)

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