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Addio risparmio, resta solo Bankitalia Per decenni si chiedeva agli italiani di accumulare ricchezza, ora invece si invita a spendere di più

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C'è, in questa battuta, la sintesi della dimensione, inevitabilmente politica ma anche sostanzialmente culturale, del ruolo che la Banca d'Italia ha svolto e svolge. Un ruolo, insieme, di promozione e custodia del "pensiero economico" italiano, nel mondo. Che domani, con la relazione di Antonio Fazio, troverà un'altra occasione di conferma culturale (e probabilmente anche di polemica). "Il primo grande economista che da Palazzo Koch si pose il problema di dare peso e identità al pensiero economico e alla ricerca economica italiana fu Bonaldo Stringher, il terzo direttore avuto dalla Banca d'Italia, nominato nel 1900 - spiega Massimo Ponzellini, già direttore generale di Nomisma ed oggi amministratore delegato di Patrimonio Spa - Springher lanciò per primo la serie storica delle Borse di studio che hanno formato la 'crema' dei ricercatori economici italiani. Da allora la Banca si è posta come un punto di riferimento innanzitutto culturale, ma anche morale nel quadro istituzionale del Paese. Un riferimento che aveva le sue radici nell'economia ma spaziava oltre". Come quando, al primo profilarsi delle leggi razziali, due ricercatori di origine ebrea, Maffeo Pantaleoni e Piero Sraffa, furono costretti a lasciare l'Italia, il primo riparando in Svizzera e il secondo a Cambridge, ma trovarono nell'Istituto un sostegno logistico e pratico, al pari di quanto accadde a molti altri - da Ugo La Malfa a Giovanni Malagodi - che durante la seconda guerra mondiale furono aiutati a nascondersi e a sopravvivere dall'iniziativa riservata e coordinata della Banca d'Italia e della Banca commerciale italiana, all'epoca guidata da Raffaele Mattioni. All'interno delle pareti del palazzo, infatti, fin dai tempi di Stringher, questa funzione di "vivaio" e insieme "pensatoio" della scienza economica si era concretizzato nella creazione di un "Ufficio studi" che è diventato in qualche modo "mitico" in Italia e stimatissimo nel mondo. In questo ufficio fin dagli Anni Dieci iniziò a crescere un vivaio di giovani economisti che hanno scritto pagine fondamentali, come lo stesso Sraffia, con il suo "La produzione di merci attraverso le merci". "Nel Dopoguerra arriva la seconda svolta, dopo quella di Stringher - annota ancora Ponzellini - ed è il governatorato di Luigi Einaudi". Con Einaudi l'ufficio studi riceve un nuovo impulso, e sforna intelligenze come Giorgio Mortara (cui non a caso ancora oggi è intitolata una Borsa di studio, insieme con quelle alla memoria di Stringher e Donato Menichella, ndr). La Banca d'Italia è diventata ormai il punto di riferimento della politica economica nazionale: aveva ormai fatto i suoi effetti la riforma del '36 che aveva dato all'istituto i poteri per un'azione di vigilanza che nei fatti lo rendeva arbitro dello sviluppo bancario e industriale del Paese, ed è anche per questo che Einaudi opta per il governatorato preferendolo all'ambasciata italiana di Washington, le due cariche tra le quali il governo Bonomi gli aveva offerto di scegliere. Attorno alla Banca d'Italia gravita da quell'epoca in poi, fino a tutto il governatore di Carlo Azeglio Ciampi, un mondo fatto di comunità di vedute, amicizie intrecciate, stile di vita e affinità di pensiero che riflette la cultura - e in molti casi i personaggi - del Partito d'Azione, rispetta la cultura cattolica (quando addirittura non pratica la fede, come proprio nel caso di Ciampi) ma interpreta a suo modo il valore del laicismo in un'Italia che nel frattempo la Dc di De Gasperi e dei suoi successori pilota sempre di più sulla scia del Vaticano. Questo "stile Bankitalia" diventa anche, fatalmente, una sorta di contrappeso a quelle che Guido Carli - governatore dopo Menichella, che era succeduto a Einaudi - definì, come annota Valerio Castronovo in un suo saggio "le arciconfrater

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