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TORINO — Tra tutti gli impianti italiani di Fiat Auto ieri ha lavorato solo lo stabilimento di Pomigliano.

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Ieri Mirafiori, Termini Imerese e la Sevel Val di Sangro, complessivamente 7.500 dipendenti, hanno sospeso l'attività a causa del mancato arrivo dei componenti da Melfi (gli addetti della Fiat-Sata sono 5.500), dove il blocco dura da quattro giorni, mentre Cassino e parte dello stabilimento torinese erano già inattivi per la cassa integrazione. Intorno alla vicenda Melfi il fronte sindacale è sempre più spaccato: ieri la Fiat ha dichiarato la propria disponibilità a incontrare Fim, Uilm e Fismic che continuano ad accusare la Fiom di avere strumentalizzato la protesta dei lavoratori. Gianni Rinaldini, leader dei metalmeccanici Cgil, ribatte che continua ad aspettare la convocazione «per affrontare i problemi relativi alla condizione lavorativa e retributiva dei lavoratori del sito industriale di Melfi». Ad auspicare la ripresa del dialogo oggi è stato anche il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi, per il quale «La vicenda di Melfi mette a rischio il processo di risanamento dell'intero gruppo Fiat a causa di azioni sindacali della Fiom che dividono i lavoratori sulla base di un cinico disegno politico». L'estensione del blocco produttivo è cominciata già nella serata di mercoledì quando la Fiat ha annunciato la fermata dei dipendenti del turno notturno di Mirafiori e del primo di oggi. In giornata sono rimasti senza lavoro la Sevel (dove si produce il Ducato) e Termini Imerese (Punto) che saranno fermi anche stamane, ma difficilmente l'attività riprenderà prima di lunedì. «Mirafiori si ferma - osserva il segretario della Fiom torinese, Giorgio Airaudo - perchè il modello di riduzione dei costi e di competizione fra Nord e Sud fa sì che si producano a Melfi componenti che potrebbero essere prodotti a Torino, dove si fa la cassa integrazione».

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