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La concorrenza è scarsa e le imprese straniere hanno poco interesse a investire nel nostro Paese a causa dell'alto costo del lavoro

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Questi elementi, tipici della rete distributiva italiana contribuiscono in modo determinante - secondo l'Ocse - a gonfiare i prezzi e a mantenere l'inflazione più alta rispetto ai nostri partner europei. Nell'ultima analisi dedicata al nostro paese dagli economisti dell'Ocse, che risale a luglio, viene scagionato quindi indirettamente l'euro, additato più volte in queste ultime settimane come il maggior responsabile dei rincari, mentre punta il dito contro il sistema distributivo ed i suoi elevati margini, i più alti fra i paesi Ocse. A finire nel mirino dell'Organizzazione è anche il sistema industriale, formato da migliaia di piccole e medie imprese che non avvertono la «pressione competitiva» delle aziende estere: l'Italia, alle spalle di Stati Uniti e Giappone, è infatti il paese con il più basso tasso di penetrazione delle importazioni. Per un investitore estero, l'Italia con il suo alto costo del lavoro (pagano più delle aziende italiane solo quelle austriache e greche) e una legge fallimentare «vecchia», non è appetibile, anche perchè per avviare un'attività i tempi sono lunghissimi, i più lunghi nell'area Ocse. «Le liberalizzazioni, le privatizzazioni hanno decisamente migliorato nel corso dell'ultimo decennio la concorrenza in Italia» afferma l'Ocse nel suo ultimo rapporto sull'Italia. Ma molto può essere ancora fatto: dal lato dell'Antitrust bisognerebbe «rafforzare il sistema sanzionatorio, deregolamentare il sistema distributivo facendo però attenzione alla devolution, che ha ostacolato il processo di liberalizzazione. L'Italia dovrebbe ridurre ed abbattere le barriere e le restrizioni per l'apertura di grandi outlet e riformare gli ordini professionali». In Italia ci sono troppi negozi ben 130 ogni 10.000 abitanti: si tratta di una cifra, sottolinea l'Ocse, molto elevata rispetto agli altri partner Ue. Il settore è caratterizzato da nanismo, in media 2,2 dipendenti a negozio. «C'è un'assenza di soggetti di medie-grandi dimensioni - scrive l'Ocse - Questo non sarebbe preoccupante se il sistema funzionasse bene. Invece, la struttura del mercato distributivo ha avuto un impatto negativo sulla performance del settore: la produttività, nella distribuzione al dettaglio e nei grandi outlet non specializzati, è la più bassa dell'Unione Europea ed è il 20-30% al sotto della media comunitaria. A questo di aggiunge che i margini di guadagno sono i più alti fra i paesi Ocse, rivelando così una scarsa concorrenza nonostante l'elevato numero di imprese». Nella distribuzione alimentare, i cinque grandi gruppi presenti controllano solo il 17% del mercato, una quota quasi irrilevante, la più bassa a livello europeo. Le pmi non sentono l'esigenza di investire in ricerca e sviluppo in quanto non avvertono la pressione competitiva delle aziende attive al di là delle Alpi. L'Italia non è «affascinante» per gli investitori stranieri che nel Belpaese si trovano a dover fronteggiare costi di lavoro troppo alti ed una miriade di regole «scoraggianti»: basta pensare, sottolinea l'Ocse, che per aprire un'azienda in Italia i tempi sono i più lunghi d'Europa.

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