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"Io sono il Colonnello", la storia di Carlo Calcagni diventa un film

Presentata l'opera sul militare ammalatosi dopo la missione in ex Yugoslavia

Pietro De Leo
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“Voglio correre”, dice Carlo, mentre l'inquadratura indugia sul volto sudato per lo sforzo della pedalata. E di molto altro. Carlo è Calcagni, o meglio, il Colonnello Calcagni. Protagonista del film- documentario Io sono il Colonnello, del regista Michelangelo Gratton, che è stato presentato giovedì sera alla sede della Fondazione Alleanza Nazionale in via della Scrofa, per un'iniziativa voluta dal senatore Domenico Gramazio e la sua Realtà Nuova e dall'Associazione Donne per la Sicurezza guidata da Roberta Sibaud. Presente anche il Senatore della Lega e presidente dell'Asi Claudio Barbaro.   E poi c'era lui, il Colonnello. Fiero nella divisa dell'Esercito Italiano si presenta mettendosi delicatamente sull'attenti, portandosi appresso lo zainetto con il congegno per l'ossigeno, che gli arriva attraverso una cannula. Unica spia, la cannula, di quel che il Colonnello si porta dentro. Si chiama “sensibilità chimica multipla”, derivante dalla contaminazioni da metalli pesanti avvenuta quando era in ex Yugoslavia nel '96, e salvava vite umane nell'operazione di “peace keeping”. Scherzi disumani fa, a volte, la vita. Un uomo che pilotando l'elicottero arrivava dal cielo per proteggere quelle altrui, per portare in salvo feriti e sfollati, si è trovato assediato, lui, dalla morte. E allora ecco che ogni giorno, per Calcagni, diventa una costante ricerca del vivere. Non è una difesa, no. Molto di più, è una sfida d'attacco. Il film racconta proprio questo. E' la storia di una, cento, mille giornate scandite da vagonate di pillole da ingerire, ore di flebo da sopportare e punture e prelievi di sangue a cui sottoporsi. E' la storia di una famiglia unita in questa lotta, dal padre del Colonnello alla moglie e i suoi due figli. Le dinamiche di una famiglia sana e tipicamente italiana, del pranzo alla domenica, del ritrovarsi in cucina la sera, che in una fiera quotidianità fatta d'amore trova quella spinta per pararsi di fronte al male. Che non si può vincere, purtroppo no, e il Colonnello ne parla con consapevolezza. Però affrontare sì. E allora ecco lo sport. Ecco la bicicletta, i pedali, il sudore. E le gare. Invictus, in America, dove Calcagni si porta a casa tre ori. E la gara nella gara. Ossia quella nel suo braccio di ferro con la giustizia sportiva, con le contestazioni a gareggiare per via dei medicinali che prende, il suo confronto, aspro, con le istituzioni sportive di riferimento. E quell'invocazione che chiude il documentario, quell'atto di volontà del continuare a correre, un grido di vita su tutto questo. La burocrazia, l'indifferenza, la malattia che si è annidata dentro di lui. Ed è anche un esempio. In un mondo imbrigliato nel futile, liberatoria è la pedalata del Colonnello, che ogni mattina si sveglia e non esita ad imboccare la sua salita.   

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