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Dakota Fanning: "La mia Wendy vince l'autismo grazie a Star Trek"

Dakota Fanning alla Festa del Cinema

L'attrice parla di "Please stand by" in concorso a "Alice nella città"

Giulia Bianconi
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Tutti abbiamo le nostre battaglie. Lottiamo nella vita per qualcosa. Come Wendy». Vestita di fucsia, lo stesso colore di Alice nella Città, la sezione autonoma dedicata alle nuove generazioni della Festa del Cinema di Roma, Dakota Fanning arriva nella Capitale per presentare «Please Stand By» e incontrare i giovani in una masterclass. Nel film di Ben Lewin, con Toni Collette e Alice Eve, la 23enne statunitense interpreta una ragazza affetta da autismo, fan di Star Trek e pronta a intraprendere un viaggio, scappando dalla casa famiglia in cui vive, per presentare una sceneggiatura televisiva incentrata sulla saga di fantascienza. Come la sorella Elle, Dakota ha iniziato a recitare sin da giovanissima. Il suo debutto risale al 2001 in «Mi chiamo Sam», nei panni della figlia di un uomo (Sean Penn) che soffre di un ritardo mentale. Tra i tanti nomi importanti con cui ha poi lavorato ci sono anche Steven Spielberg, Robert De Niro e Richard Gere. Fanning, interpretare Wendy è stata una sfida per lei? E come si è preparata al personaggio? «Ogni ruolo per me è una sfida. Ho incontrato molti giovani colpiti da questo disturbo e avuto la possibilità di creare liberamente nella mia testa il personaggio. Wendy è una ragazza affetta da autismo, ma non solo quello. Vediamo quanto le difficoltà influenzino la sua vita. Ma anche quanto si sappia ribellare, spingendosi sempre oltre». Cosa ha imparato da questa esperienza? «Che tutti quanti abbiamo le nostre battaglie. Lottiamo nella vita per qualcosa. In comune abbiamo l'abilità di sentire e sognare». Anche lei è una grande appassionata di Star Trek? «La guardavo con mio nonno quando ero piccola. Ma non posso dire di essere una fan come Wendy. Per lei Star Trek è una risorsa per uscire dal suo stato, superare le difficoltà e avere accesso al mondo esterno. Spock è la sua guida. Io non credo di averne una simile, ma mi piacerebbe trovarla». Il suo film è in concorso nella sezione dedicata alle nuove generazioni. Che tipo di consiglio darebbe ai giovani che vorrebbero intraprendere la sua carriera? «In realtà credo che “Please Stand By” sia per tutti. Io non ho tutte le risposte. In un settore come il mio, ogni esperienza è individuale». Lei è diventata famosa molto giovane. La carriera ha privato la sua giovinezza di qualcosa? «Ho sempre amato quello che faccio sin da piccola. E la fama non ha mai avuto un impatto negativo sulla mia vita. Ho conosciuto persone e visto luoghi diversi grazie al mio lavoro. Ho passato tre mesi a Hong Kong a 14 anni. Non posso che sentirmi grata per tutto questo. E poi vivo la mia vita in modo comune». Sin da bambina ha pensato che sarebbe diventata un'attrice? «All'inizio era un gioco. Ma ho sempre portato rispetto alla storia e alle persone con le quali ho lavorato. Oggi per me è importante evitare di portare il personaggio fuori dal set, rischiando che le linee di separazione si mescolino. Sono dentro al ruolo quando facciamo le riprese poi, quando il regista dice stop, torno a essere me stessa». Il mondo in cui lavora può essere anche pieno di rischi. Come sta vivendo le rivelazioni di alcune sue colleghe nei confronti del produttore Weinstein? «Come donna penso sia importante poter far sentire la nostra voce e combattere per l'uguaglianza. Sono contenta di vivere in un momento in cui si parla di questi argomenti. Ci deve essere l'empowerment e il sostegno tra noi». Presto Kirsten Dunst la dirigerà nella sua opera prima «The Bell Jar». «Il film è ancora in fase di sviluppo. Adoro lavorare con registe donne e creare con loro un rapporto di sorellanza e amicizia. Spero di poter continuare, ma amo lavorare anche con registi uomini come Ben».

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