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Dagli Arditi agli Anni di Piombo. Il "filo nero" della storia di Roma

La propaganda fascista

Nel libro di Andrea Augello il racconto degli scontri degli anni '20. Preludio ai drammi successivi

Paolo Zappitelli
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Raccontare il passato, quello che la storia non ha mai messo in prima pagina, per capire il presente. E aprire uno squarcio su un corpo, gli Arditi d'Italia, mitizzato e denigrato. In entrambi i casi spesso a sproposito. Il libro di Andrea Augello – senatore del gruppo Idea ma anche saggista appassionato di ricerche storiche – «Arditi contro, i primi anni di piombo a Roma 1919-1932» (Mursia editore, 18 euro) racconta la nascita di questi combattenti sullo sfondo di una Roma, in quegli anni che precedettero la nascita del fascismo, estremamente caotica ma anche fertile di idee e di movimenti culturali. Ma soprattutto attraverso le pagine del libro si capisce come gli scontri che ci furono tra gli Arditi, che diedero vita al fascio romano, e i loro cugini rossi, gli Arditi del popolo, contengono già i germi degli anni di piombo che insanguinarono la capitale negli anni '70. «Fascisti e antifascisti – scrive Gianluca Di Feo nella prefazione – si scontrano nelle piazze, si combattono, assaltano le sedi nemiche, praticano la guerriglia in città, nelle scuole e nella università. In queste pagine ci sono rudi e ottusi squadristi, incrollabili antifascisti, pregiudicati rossi e neri, ma anche voltagabbana, idealisti, delinquenti, liberali compiacenti e molte fumose osterie, che sono il crocevia delle opposte rivoluzioni in quegli anni. L'esperienza dei «soldati politici» (gli Arditi ndr), secondo Augello, marca in modo profondo tutta la politica delle generazioni successive, non solo di quelle che si combatteranno nella guerra civile ma anche in quelle che si affronteranno nelle piazze degli anni '60 e negli Anni di piombo. La scia di sangue che inizia nel 1919 attraversa tutto il Novecento fino ai giorni nostri. La politica armata nasce con gli Arditi ma non si chiude con la loro scomparsa dalla storia. "Questi nonni faziosi e rivoluzionari" scrive Augello "vivono nel nostro Dna, con quella pericolosa idea di sostituire la politica alla religione, sacralizzando la Patria e/o il proletariato. Il mito dell'arditismo è duro a morire, a destra come a sinistra"». Già ma chi erano gli Arditi? «La loro storia – racconta Augello – avrebbe costituito un soggetto ideale per un film di Sergio Leone: un intreccio di passione politica, comunanza d'armi, amicizia, tradimenti. Un pugno di giovani che sopravvive nei reparti d'élite, alle tempeste d'acciaio della prima guerra mondiale, giurando, nel nome di una fratellanza temprata nel sangue, di cambiare l'Italia, per poi invece dividersi, drammaticamente, sulle barricate della guerra civile che si infiamma intorno al binomio fascismo-antifascismo». La storia – indagata dall'autore attraverso i documenti e i rapporti della Questura e dei Carabinieri di quegli anni – racconta che gli «Anni di piombo» a Roma iniziano con un corteo di studenti «nazionalisti» dei licei Tasso, Visconti e Mamiani il 24 maggio del 1920 per celebrare l'anniversario dell'entrata in guerra. Alla fine, un centinaio di loro si raduna sulle scale del palazzo delle Esposizioni a Roma, un liceale si ribella a una guardia dandogli un pugno. Da lì scoppia la tragedia: soldati e agenti iniziano a sparare: è un massacro, con otto morti e 23 feriti. È la svolta, drammatica, nella storia, il punto di svolta che crea la fucina del fascismo a Roma. Per raccontare l'inizio di questo «filo nero» che unisce gli scontri del 1919-1923 agli anni '70 Andrea Augello inizia dalla ricostruzione del cosiddetto complotto di Pietralata: nel pieno delle manifestazioni contro il caroviveri, all'inizio del luglio 1919, una quarantina di congiurati capeggiati da Argo Secondari, ex tenente degli Arditi, tenta di sobillare una rivolta tra gli arditi che compongono il diciassettesimo battaglione del Forte di Pietralata. Il piano fallisce, la stampa parla di tentativo di colpo di stato degli anarchici ma, come si legge nelle pagine del libro attraverso i documenti dei Carabinieri, nel gruppo ci sono anche membri del Fascio romano. E ancora i fatti di Civitavecchia, uno dei Comuni più rossi d'Italia nel primo dopoguerra, dove si consuma il 19 maggio del 1921, uno scontro tra alcune squadre di fascisti arrivati da Roma proprio per sfilare nella città a sostegno dei propri commilitoni, e i portuali che non accettano la «provocazione». Un ragazzo muore, pugnalato nel petto, i due gruppi si fronteggiano ma alla fine non accade nulla. Fino a quando, per rappresaglia, i portuali fanno esplodere il rimorchiatore Labor all'àncora nel porto di Civitavecchia, di proprietà del cavaliere Francesco Cinciari. Il fratello, Corrado, considerato fascista anche se non iscritto al partito, aveva inutilmente richiesto una vigilanza della polizia. Sono le tessere di un puzzle che si comporrà definitivamente negli anni successivi.

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