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di Lorenzo Tozzi La storia ci ha insegnato che l'opera di ogni artista è segnata dal periodo in cui è venuta alla luce.

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Untrauma di cui il compositore russo portò i segni indelebilmente per tutta la vita. La sua strada si incrociò con quella dello stalinismo nel periodo più bieco e reazionario del regime sovietico. Già colpito giovanissimo, ancora allievo del Conservatorio sotto Glazunov, dalla distruzione del benessere della sua famiglia al tempo della Rivoluzione d'ottobre (aveva solo 11 anni), dalla guerra e dalla morte del padre, si trova a dover aiutare la famiglia accompagnando al pianoforte film muti. Il clima politico inizialmente è aperto e favorevole ad esperimenti e a novità. Nasce così come addio al Conservatorio la Prima Sinfonia (1926) di un geniale ventenne che si impone come erede di Ciaikovsky. Il primo decennio produttivo, accanto alle celebrazioni (la Seconda Sinfonia per il decennale della Rivoluzione), lascia il posto alla parodia con le musiche per La Cimice di Majakovsky, ma soprattutto Il Naso (1930) da Gogol o il ritratto e denuncia sociale della Lady Macbeth del distretto di Mcensk (1934). Il trionfo di quest'ultima mutò segno radicalmente dopo l'uccisione di Kirov, voluta da Stalin per giustificare l'avvento di un regime totalitario, quando il revisionismo incarnato da Zdanov, grigio uomo di regime, bollò le sue opere come espressioni formalistiche, additando nel realismo socialista la via maestra per la musica del futuro. Un celebre articolo della Pravda (22 gennaio 1936) bolla Lady Macbeth come immorale, cacofonica e impopolare. Il revisionismo dell'autore, minacciato di ritorsioni, si annuncia nella Quinta Sinfonia mentre la riconciliazione col regime avviene con la Settima Sinfonia (1942) «di Leningrado» esaltata come simbolo della resistenza al nazismo. Finita la guerra, secondo le linee programmatiche di Zdanov, la musica si fece espressione di regime, controllata da vicino dalla Unione dei Compositori presieduta da Krennikov, uomo fidato di Zdanov. Per salvarsi dai gulag Shostakovich si adatta a comporre musiche per film di propaganda e a incarnare il ruolo di compositore sovietico modello, anche quando nel 1949 si presenta a New York al Congresso della pace come fautore delle progressive conquiste del regime. Dopo l'avanguardia del primo decennio venne così il riflusso stilistico e solo dopo la fine degli Anni Sessanta con la destalinizzazione avviata da Krusciov, nonostante atteggiamenti prudenti che condannavano la dodecafonia e le avanguardie musicali europee, Shostakovich poté riconquistare la sua libertà creativa affidando i suoi messaggi all'utilizzazione di versi poetici di Apollinaire, Blok, Marina Cvetaeva, tutti poeti contro, ribelli, in rivolta. Le vicende della Lady Macbeth, riscritta come Katerina Ismailova, sono illuminanti. È la storia di una contadina soffocata dal marito che, per sfuggire al suo drammatico destino, si rende colpevole, insieme all'amante, di un triplice omicidio e finisce in Siberia. Dopo i primi consensi l'opera viene bollata dalla Pravda come «Caos anziché musica», espressione borghese e formalista. Il divieto di rappresentazione finì solo nel 1963 con opportuni ritocchi al libretto e alla musica. In Italia l'opera era arrivata nel 1949 suscitando non poco scandalo negli ambienti religiosamente ortodossi. La Via crucis di Shostakovic compositore fu raccolta negli ultimi anni di vita dal musicologo sovietico Solomon Volkov, poi emigrato, che pubblicò le confessioni col titolo di Memorie. Ne scaturisce l'immagine del musicista, assurto dal regime a campione del socialismo reale: un uomo tormentato, pieno di dubbi, che giudica con severità il passato remoto (Stalin e il suo culto della personalità) ma anche il «disgelo» più recente e la destalinizzazione (Krusciov e Breznev) che ne appare erede nel processo manipolatorio dell'informazione, della cultura e dell'arte. Le memorie di Shostakovich sono piene di livori, di rimpianti, di amare considerazioni proprie di un uomo gestito dal potere: quasi una «marionetta intellettuale» perennemente in bilico sotto la minaccia di ritorsioni (molti suoi amici erano stati epurati e segregati in gulag nella lontana Siberia). In vita Shostakovich subì non solo critiche ma continue mortificazioni, come quando al contrario di suoi interpreti e amici come Rostropovich, Richter, Oistrakh, non poteva ottenere il passaporto per assistere alla prima esecuzione di sue opere all'estero (fu il caso nel 1963 della prima italiana de Il Naso a Venezia con la regia di Eduardo). Nelle Memorie, pubblicate per suo volere all'estero solo dopo la sua morte per evitare ai suoi cari ritorsioni, il compositore si dimostra tranciante nei suoi giudizi, sempre lucidi e decisi. Lo definì il «verbale di un testimone oculare» che divenne presto un impietoso «j'accuse» che al suo apparire indusse anche un ripensamento e una riflessione nell'area della intellighenzia italiana di sinistra. Ne scaturiscono gli stili di un potere cieco che si basa su un dilagante metodo terroristico. Meditazione tragica di un attento osservatore che quel regime provò sulle sue carni e la cui produzione fu violentata dalle leggi di uno statalismo becero e cieco. Un atto di accusa che suona ancora oggi come un monito imperituro.

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