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L'avvocato che inventò l'Italia

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Dalla guida della Fiat alla fede per la Juventus Il suo stile firmò lo sviluppo industriale del Paese

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GianniAgnelli aveva le idee chiare. E di potere se ne intendeva. Eccome. A dieci anni dalla scomparsa avvenuta il 24 gennaio 2003, l'Avvocato resta l'ultimo vero sovrano del nostro Paese. In molti lo chiamavano «Re d'Italia» perché in lui riconoscevano carisma, potere economico, influenza politica e savoir faire. Agnelli rappresentò la figura più importante e prestigiosa dell'economia italiana, un simbolo del capitalismo nella seconda metà del Novecento. In occasione dell'anniversario, giovedì alle 11 l'arcivescovo Cesare Nosiglia celebrerà la funzione religiosa nel Duomo di Torino. Alle 12.15 una cerimonia ufficiale sarà ospitata anche nella sala del consiglio comunale del capoluogo piemontese. A entrambe le celebrazioni parteciperà il Capo dello Stato Giorgio Napolitano che ha conosciuto l'Avvocato e lo ricorda come uomo e capitano d'industria. Napolitano lo incontrò per la prima volta a New York nel 1978. «Io e l'Avvocato? - risponde - Fu l'America a farci incontrare la prima volta. Era un uomo libero, senza tabù o pregiudizi, curioso e attento a tutto ciò che cresceva o cambiava nel nostro Paese. Agnelli non era un uomo dogmatico, né chiuso nel suo ruolo, semmai il contrario. Aveva una varietà di interessi e di orizzonti abbastanza rara. E soprattutto a me è sempre sembrato un uomo assolutamente libero, mai frenato da vincoli o pregiudizi sulle appartenenze partitiche. Soprattutto, al di là dei partiti, degli schieramenti e dei ruoli di ciascuno, aveva un interesse autentico per le persone, per la conoscenza diretta delle persone». Uomo colto e dotato di un senso dell'umorismo sui generis, Gianni Agnelli è stato probabilmente l'italiano più noto all'estero, legato da relazioni di profondo spessore con banchieri e politici internazionali (alcuni dei quali, come Henry Kissinger, divennero suoi amici personali). Nel 1966 ereditò dal nonno il comando dell'azienda di famiglia e si insediò al timone della Fiat a 45 anni. Da allora la guida di un impero economico che cambiò il volto all'Italia, influenzandone e condizionandone in modo determinante le scelte di sviluppo industriale. Il sogno di Gianni Agnelli fu l'internazionalizzazione della Fiat e il suo ambizioso progetto di rendere noto al mondo il marchio torinese si realizzò nel giro di una decina d'anni con le unità produttive presenti su quattro continenti. Anche di questo parla la Fiat del presente nelle parole dell'ad Sergio Marchionne: «Il suo sogno di andare negli Usa è diventato realtà. Una cosa che mi dispiace è che non l'ho mai conosciuto». Nel 1987 Gianni Agnelli blindò il controllo della Fiat da parte della famiglia, costituendo la Società in accomandita per azioni Giovanni Agnelli, nella quale confluirono le partecipazioni dei numerosissimi componenti della dinastia. Questa tecnica sarebbe stata poi utilizzata anche da altri industriali. La figura di Gianni Agnelli è complessa e l'Avvocato fu perfino un punto di riferimento nell'eleganza, tanto da inventare e far parlare di un vero e proprio «stile Agnelli». A cominciare dall'orologio che indossava rigorosamente sopra il polsino della camicia. Ma come tutte le dinastie che si rispettino, anche quella degli Agnelli ha i suoi lati oscuri, molti dei quali non ancora del tutto svelati. Fiumi di inchiostro sono stati versati sui misteri e le ombre dell'impero Fiat, sulla figura dell'Avvocato e sul superpotere di cui negli anni si sono impadroniti alcuni consiglieri-cortigiani. Ci sono gli usurpatori che, pur non portando il nome degli Agnelli, se ne sono appropriati, esercitando dietro le quinte un potere immenso e tradendo spesso le stesse volontà dell'Avvocato. Fino alla passione per il calcio e per la sua amatissima Juventus, di cui fu nominato presidente nel lontano 1947, a soli 26 anni. Sono leggendarie le telefonate quotidiane delle 6 del mattino, ovunque fosse, a Giampiero Boniperti. Come quando gli rinfacciò di non aver compreso bene il valore di Maradona. «Dopo i Mondiali del '78 gli chiesi chi fosse quel giovane argentino. Mi rispose: se fosse qualcuno lo saprei». Viva la faccia.

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