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Il divo di provincia che non sapeva resistere alla bellezza femminile

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Meglio:è la storia di Yves Montand, cantante e attore di grande successo (1921-1991). Il nome suona bene, non c'è che dire, sembra avere addirittura qualcosa di raffinato, di aristocratico, ma la "base" è decisamente nazionalpopolare. Perché deriva dalla francesizzazione del grido con cui, quando era bambino, la mamma lo chiamava a pranzo, dalla finestra, interrompendo i suoi giochi: "Ivo, monta!", insomma "Ivo, sali in casa, è pronto!". Ivo? Sì, si chiamava Ivo Livi, figlio di Giovanni e Giuseppina, ed ultimo di tre fratelli, nato a Monsummano Terme, in provincia di Pistoia, il 13 ottobre 1921. A ricordarne giorni ed opere, è uscito or ora un libretto pubblicato da Via del Vento una piccola ma prestigiosa casa editrice della città toscana (Yves Montand, "Frammenti di vita", a cura di Antonio Castronovo, pp. 35, euro 4), che contiene sparsi appunti di Montand, nonché una testimonianza di Carol Amiel, la sua ultima compagna, che gli regalò la gioia di avere, a sessantasette anni compiuti, il figlio Valentin. Ma torniamo all'infanzia di Ivo. Il padre, che aveva allestito un piccolo opificio per produrre scope, è un comunista duro e puro. Il fascismo trionfante non gli rende la vita facile e lui non vuole dar retta al cognato, un fascistone, che prova a convincerlo con le buone e con le cattive: così, nel 1924, decide di emigrare in Francia. A Marsiglia, nel quartiere della Cabucelle, uno dei più inquinati della città. Poveri tra i poveri, i Livi, ma - ricorda Montand - "mamma partiva tutti i giorni dalla regola che finché si ha pane e vino si può resistere". Resistono, ma ad undici anni e mezzo Ivo va a lavorare, prima in una fabbrica di pasta alimentare, poi nel negozio di parrucchiera della sorella Lydia. È in questo periodo che comincia a guardare le donne e a sognare il palcoscenico. Il debutto in un cabaret di Marsiglia. Nome d'arte Yves Montand. Il giovanotto recita, canta, ma lavora anche come operaio metallurgico. All'inizio del '44, il salto di qualità: un contratto per esibirsi in un locale parigino, l'ABC. E in agosto un vero colpo di fortuna: affianca come fantasista Édith Piaf nel mitico "Moulin Rouge". Colpo di fortuna, dicevamo, e colpo di fulmine: Yves ed il "Passerotto" (questo significa "Piaf" nell'argot parigino) si ameranno per tre anni. Lui la ricorderà come un "fuscello altezzoso", ma galantemente la descriverà "piccolina, bella, con una fronte spaziosa, grandi occhi azzurri, un corpo graziosamente proporzionato, i seni piccoli, molto ben fatta nei fianchi". E dotata di un "fascino enorme". Quello che anche Yves sprigiona da tutti i pori e che nasce da quella faccia "un po' così", da simpatico mascalzone "macho". E poi c'è la voce: profonda, dolce, avvolgente. Memorabile nell'interpretazione di "Les feuilles mortes", su parole di Jacques Prévert, di cui Yves è diventato amico. Intanto la sua faccia si sta imponendo anche nel mondo cinematografico: interpreta "Vite vendute" di Henri Clouzot, "Gli eroi sono stanchi" di Yves Ciampi, "La grande strada azzurra" di Gillo Pontecorvo, "Uomini e lupi" di Giuseppe De Santis. E nel 1957 "Le vergini di Salem" dove fa coppia con Simone Signoret, con cui è nata una travolgente storia d'amore, destinata a durare fino all'85. E non è solo amore: a unire i due c'è anche l'aperta simpatia per il partito comunista. Yves quella passione ce l'ha nel sangue, ereditata dal babbo che a Marsiglia accoglieva a casa i compagni di passaggio, offrendogli un materasso, una piatto di minestra e un pezzo di pane. La rivolta ungherese del '56 comincia, però, a suscitargli qualche dubbio sulla giustezza della "causa". Yves è "scosso", capisce che qualcosa non va, ma non ce la fa ancora a consumare lo strappo. Scrive: "Protestavo contro me stesso, perché non volevo ammettere, nel profondo di me, che il comunismo equivaleva ai carri armati contro gli operai". Ma il tumultuoso '68 gli apre gli occhi: "I carri russi a Praga furono il colpo di grazia, la fine dell'illusione che il comunismo poteva cambiare ed essere cambiato. La mia reazione fu immediata, sostanziale: voltai la pagina comunista della mia esistenza". Seguono gli anni del sodalizio con Costa-Gravas e dei film a forte impegno "libertario" in cui via via si denuncia la Grecia dei colonnelli ("Z-L'orgia del potere"), le purghe staliniane in Cecoslovacchia ("La confessione"), le ingerenze degli USA nella politica sudamericana ("L'amerikano"). Un Montand democraticamente impegnato e non più seduttore latino? Andiamoci piano: Yves, nel '59 ha realizzato il sogno di cantare negli Stati Uniti, trionfando a Broadway, Los Angeles e San Francisco e nel '60 ha girato un film- "Facciamo l'amore" - con la "bomba del sesso", Marilyn Monroe, all'epoca sposata col drammaturgo Arthur Miller. Poteva non scoccare una scintilla tra i due? Domanda retorica: fecero all'amore, eccome! Ma, si giustifica un po' penosamente Montand, io tutto avrei voluto fuorché far soffrire la mia Simone. In realtà fu Marilyn - così "simpatica", così "democratica", ma con "quell'importante sederino" fasciato dai jeans - a farmi cadere in tentazione… Ma Simone, che alla fine "abbozzò", ci avrà mai creduto?

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