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Verdi mette pace tra Vienna e Venezia

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La partita tra l'Austria Felix e la Serenissima Repubblica di San Marco finisce in pareggio grazie alle note di «Va pensiero» e del «Don Carlo»

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Peruna volta tanto Vienna e Venezia, capitali musicali dai nobili passati ma spesso in competizione tra loro, non si sono fatte la guerra. La rivalità (temporalmente) ravvicinata e la implicita emulazione (spazialmente) a distanza tra le due città storicamente accomunate da imperial-asburgici legami di sangue, nel 2013 si sono attenuate proprio nel nome di Verdi, il più italiano dei compositori o, se si preferisce, il musicista più amato dagli italiani specie in clima di recenti memorie unitarie post-risorgimentali. Se fino allo scorso anno infatti una certa malcelata ostilità opponeva il tradizionale Concerto di Capodanno nella magnifica Sala d'oro del Musikverein di Vienna, ormai alla sua settantaseiesima edizione, con i magici Wiener Philarmoniker diretti dalla più blasonata bacchetta del momento, al Concerto inaugurale del Teatro La Fenice di Venezia, da soli dieci anni dedito al repertorio più popolare del melodramma italiano, l'incipiente 2013 ha segnato un certo riavvicinamento ed una pacificazione nel nome di Giuseppe Verdi, cui comprensibilmente (nell'anno del bicentenario) è interamente dedicato il concerto veneziano, e che invece entra a sorpresa, davvero eccezionalmente accanto al «rivale» Wagner, nel programma tradizionalmente «leggero» delle musiche della famiglia Strauss, dei Lanner, dei Suppé sempre all'insegna dell'inimitabile valzer viennese: quello «sinfonico» del Casino viennese di Tivoli, perché la più famosa delle danze viennesi nacque in realtà tra i sanculotti delle barricate parigine dell'Ottantanove prima di diventare intrattenimento aristocratico nelle pause diplomatiche del Congresso di Vienna. Valzer variegati per tutti i gusti ma anche briose polke, geometriche quadriglie e sbrigliati galop (su Raidue in differita). Verdi, dunque, come magico trait d'union tra la mitteleuropa dell'austro-ungarico e odiato Cecco Peppe e del famigerato generale Radetzky e ciò che resta del nostro eroico Risorgimento. A Venezia (in diretta su Raiuno), con il soprano Desiré Rancatore in grande spolvero, emozionata e un po' in carne, il tenore elegante e sorridente Saimir Pirgu e la direzione aristocratica di Sir John Elliot Gardiner, non si celebravano solo Attila, La Traviata e il Rigoletto, nate proprio alla Fenice sulla laguna della Serenissima, ma anche l'immancabile «Va pensiero» corale del Nabuccodonosor, vessillo simbolico di sentimento unitario e di amor di patria da taluni preteso come inno nazionale in sostituzione di quello di Mameli e Novaro. Tra pagine canore note e meno note il finale, invero scontato e prevedibile, era segnato dal celeberrimo Brindisi della Traviata («Libiam nei lieti calici») prima elegantemente danzato in inappuntabile frac nero nientemeno che dall'étoile Roberto Bolle e dal corpo di ballo scaligero e poi bissato alla fine tra gli applausi, con la Rancatore che improvvisa a sorpresa passi di valzer sul podio coinvolgendo lo stupito direttore inglese. A Vienna, invece, accanto al poetico Preludio del terzo atto del Lohengrin che introduce alle nozze con Elsa, diretto dall'austriaco Franz Welser-Möst (valente direttore musicale dello Staatsoper e già sul podio del Concerto inaugurale del 2011), ad essere eseguiti erano alcuni momenti dei ballabili del Don Carlo parigino, pagine verdiane poco significative ma di facile fruizione. Il clima musicale della celebrazione lagunare non era tuttavia, se non nel finale, quello frizzante e festoso della gemella festa inaugurale viennese, inondata come sempre dai coloriti e profumati fiori di San Remo, ma la grande musica è pur sempre una gioia dell'anima, e la musica di Verdi, anche se più pregna di pathos e di tensione drammatica rispetto ai bonbon e ai cotillon viennesi, lo è e tra le più ricche di arte e di umanità. Insomma non flut di esclusivo champagne con le bollicine come nella città del Ring, ma coppe di sapido prosecco del Triveneto. Certo, se si dovesse concedere poi a conti fatti la palma della originalità, nessuno dei due concerti se la aggiudicherebbe a cuor leggero. A Vienna infatti si è raschiato il fondo della padella straussiana, riportando all'ascolto pagine dimenticate e di rara esecuzione. A Venezia invece si è seguito piuttosto il sentiero più comodo delle arie note, con qualche timida eccezione. Del resto è inevitabile che le opere liriche di Verdi, anche le meno consuete, siano più frequentate dei più negletti seppur accattivanti e frivoli valzer di Strauss & Company. La partita tra l'Austria Felix e la Serenissima Repubblica di San Marco finisce così in un meritato pareggio, che soddisfa alla fine entrambi («Pari siam» avrebbe detto il gibboso buffone di Mantova), ma soprattutto accontenta il nutrito pubblico dei telespettatori amanti della bella musica, felici almeno per una volta (a Capodanno licet insanire) di avere sulle generaliste reti televisive nazionali (Raiuno e poi subito a seguire Raidue) non uno, bensì ben due splendidi appuntamenti musicali, uno a ruota dell'altro. Buona musica alla portata di tutti insomma e senza problemi, almeno come auspicio di un buon inizio d'anno. Ma domani è un altro giorno e si vedrà.

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