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Bendini&Montani a Chieti

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Main arte possono dare la sensazione di passare leggeri e veloci come un soffio, specialmente nel dialogo fra generazioni diverse. E proprio questo accade nella mostra «Vasco Bendini, Matteo Montani. Così lontani, così vicini», presentata fino al 20 gennaio nelle sale del Museo Palazzo de' Mayo, a Chieti e curata da Gabriele Simongini con il sostegno della Fondazione Carichieti. Il dialogo è quello fra Bendini, uno dei padri della pittura informale italiana, che proprio nel 2012 ha festeggiato i suoi 90 anni e Montani, artista di spicco fra gli emergenti del nostro Paese, che da poco ha compiuto 40 anni. La loro pittura, pur nelle reciproche differenze evidenti nei 31 lavori esposti, è fluida, quasi liquida, visionaria ed attenta ad inseguire una sorta di forma originaria che evoca un senso di nascita e di genesi. Come scrive Simongini in catalogo, «le loro opere, nel complesso, sono forse sismografi, elettrocardiogrammi dell'universo». In Bendini, però, le immagini nascono esclusivamente dal magma del suo inconscio e dal suo pensiero, mentre Montani parte più dichiaratamente dalla contemplazione del mondo esterno. Tutto, nella sua pittura, è fluido e mobile come i sommovimenti dell'anima. Nelle opere di Montani la pittura ad olio trova percorsi sorprendenti stendendosi sul supporto nero della carta abrasiva e concretizzandosi nei granuli cristallini che la compongono. Un maestro come Bendini ha spiegato l'immediatezza emozionale e tecnica da cui nasce l'informale, oltre a rievocare i suoi rapporti con Virgilio Guidi e Giorgio Morandi, in particolare.

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