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Le verità di Tosi tra eresia leghista e «cerchio magico»

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Nelsuo nuovo «La versione di Tosi», edito da Marsilio, Stefano Lorenzetto incalza Tosi e ne delinea un ritratto a tutto tondo tra vita pubblica e privata, confessioni su amici ed ex amici politici e inediti retroscena sugli ultimi anni delle vicende politiche del Carroccio e non solo. Da bambino è scappato dalla scuola materna. Da liceale si è tuffato in Adige per recuperare un pallone. Da programmatore ha avviato una centrale idroelettrica nel Bangladesh. Flavio Tosi da consigliere comunale ha portato una tigre al guinzaglio in municipio. Da sindaco di Verona ha esordito sostituendo il ritratto ufficiale di Giorgio Napolitano con quelli di Benedetto XVI e di Sandro Pertini. Per anni il primo cittadino più popolare d'Italia ma anche l'unico condannato per istigazione all'odio razziale ha fatto parlare di sé con le sue stravaganze: la proposta di un'entrata separata sui bus per gli immigrati, le multe ai clienti delle prostitute e dei vu cumprà e ai turisti che mangiano panini, le querele a raffica contro giornalisti e intellettuali. Poi la svolta: l'incontro di pace col Capo dello Stato, le ripetute richieste di dimissioni rivolte a Silvio Berlusconi, le ospitate quasi quotidiane nei talk show, l'obolo a Michele Santoro perché potesse continuare il suo programma. Ma soprattutto una lotta serrata e solitaria contro la deriva che alla fine ha travolto Umberto Bossi e il suo «cerchio magico», i quali hanno cercato in tutti i modi di espellerlo dalla Lega. Davide ha vinto contro Golia. E ora, forte del voto plebiscitario con cui i veronesi gli hanno rinnovato la fiducia per la seconda volta, punta dritto al cuore del potere lumbard. Qui Flavio Tosi, il sindaco che fa stipendiare il suo autista dal Carroccio, non indossa mai la cravatta, si rade ogni sette giorni e chiede agli amici giacche e pneumatici come regali di compleanno, racconta per la prima volta la verità su di sé, sulla politica, sulla Lega, sulle accuse che gli sono state rivolte, sul modo di governare e su una moglie che non voleva votare per lui. L'intervista è condotta da Stefano Lorenzetto, veronese, editorialista del «Giornale», dov'è stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri e collaboratore di «Panorama» e «Monsieur». In 37 anni di professione giornalistica ha scritto per una quarantina di testate. Ha pubblicato una decina di libri. Come autore televisivo ha realizzato «Internet cafè» per la Rai. Le 600 puntate della rubrica «Tipi italiani», uscite sul «Giornale» a partire dal 1999, lo vedono da due anni nel Guinnes World Records per un singolare primato: la più lunga serie di interviste da un'intera pagina che sia mai apparsa fino a oggi sulla stampa mondiale. Lorenzetto ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent. L'anno scorso la giuria dell'Amalfi Coast Media Award gli ha assegnato all'unanimità il premio Biagio Agnes alla carriera con questa motivazione: «È, in assoluto e per riconoscimento generale, il miglior intervistatore italiano mai esistito». Anche in questo caso il suo rapporto con Flavio Tosi è schietto e diretto. La sua dialettica serrata fino a far confessare al suo interlocutore che «il barbaro è legato a valori antichi. Il barbaro è una persona libera. Il barbaro non scende a compromessi. Il barbaro lotta per la sua gente, per la sua terra, per la sua indipendenza».

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