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Segni: nei suoi scritti i segreti del Dopoguerra

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Natoal termine di uno dei secoli più tormentati, l'Ottocento, ebbe lo sguardo sempre potentemente puntato verso il futuro. Forse non si parla abbastanza di questa figura di statista, studioso attento, politico appassionato, in questo inizio di Terzo Millennio, francamente povero di attenzione e passioni. Allora non può che essere il benvenuto il «Diario (1956 -1964)» di Antonio Segni, a cura di Salvatore Mura, edito da «Il Mulino», 273 pagine, 22 euro. Una testimonianza storica, a modo suo, semplice, che si offre a diversissimi livelli di interpretazione. I giovani, forse un po' digiuni dei segreti del Dopoguerra e dei suoi problemi, saranno illuminati dalle asciutte note dell'acuto uomo politico. Chi ha i capelli bianchi, e magari si ricorda Fanfani in carica, troverà una logica in quel particolarissimo periodo storico, che risulta originale e illuminante. «1964 - 11 Luglio: Mattina, parlo con Rumor e gli metto un po' di paura. Gli telefono più tardi che mons. Dell'Acqua (senza fare il nome) vede la possibilità di un immediato scioglimento ed elezioni. Chiede che si sondi più in alto il che farò domenica 12 a mezzo Bonomelli. Sua Santità dice che vede ormai troppo tardi (dopo troppe discussioni) per rompere e fare le elezioni; ma esclude che il centro-sinistra sia la formula migliore; è una formula che si accetta per necessità». Secco, pratico, asciutto. Segni quell'11 luglio 1964 era il quarto presidente della Repubblica Italiana. Sua Santità, per la cronaca, era Papa Paolo VI, un'altra figura particolarmente luminosa del Novecento della quale, purtroppo, ben poco si parla. Questo Diario è una fonte quasi completamente inedita che apre ampi spiragli sulla levatura di un uomo politico di assoluto primo piano che merita ulteriori e organici approfondimenti. Si tratta della migliore delle fonti: di prima mano, di assoluto interesse. In questo documento storico, che si lega alla migliore Italia del dopoguerra: quella del riscatto, della rinascita, del Boom economico, ci sono annotazioni, impressioni, pensieri, giudizi, impegni, appuntamenti: tutto scritto a mano, con grafia minuta, a volte frettolosa, su block notes, o affidati talora a fogli sparsi. Qua e là spuntano però documenti ufficiali: lettere spesso assai importanti. Forse, ritiene ipoteticamente il curatore, si trattava di appunti destinati ad essere in un secondo momento rielaborati. Sì probabilmente a segni mancò quel tempo per mettere in ordine i tanti impegni della sua vita. Circa un mese dopo quell'11 luglio 1964 Antonio Segni, dopo un'accesa discussione con Giuseppe Saragat e Aldo Moro, fu colto da un malore che bloccò il suo mandato presidenziale e il resto della sua vita. Era il 7 agosto 1964. Gli appunti di questo Diario vanno dal primo dicembre 1956, mentre Segni era presidente del Consiglio (1955-1957), al 27 luglio 1964. Segni sarà poi vicepresidente del Consiglio e ministro della Difesa (1958-1959), quindi nuovamente presidente del Consiglio (1959-1960), ministro degli Esteri (1960-1962) e, infine, presidente della Repubblica (1962-1964). Gli scritti si offrono al lettore nella loro scarna, interessantissima, essenzialità: 13 dicembre 1956: «Parlo con Taviani prima della partenza per Parigi: lo autorizzo a sostenere la tesi della competenza dei militari ad usare le armi nucleari». Non si tratta di argomenti «marginali». Questi diari scrivono la Storia. Non si è studiato abbastanza l'opera politica di questo personaggio del quale, fino ad oggi, ci hanno sempre parlato gli altri. Persone alle quali, per una curiosa congiuntura storica, Segni non stava e non sta simpatico. Nato a Sassari da una famiglia di origini liguri, Antonio Segni, cattolico pensoso e moderato, non fu mai un indeciso. Sapeva essere prudente, anzi, lo è sempre stato, ma mai fu un debole o privo di iniziativa. E questo, in parecchi, non glielo hanno mai perdonato. Ora, è la voce di Segni stesso a dirci in modi asciutti, ma incisivi, delle sue giornate: giornate in parte comuni, in parte vissute come uomo della storia, fra i protagonisti della storia. A. A.

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