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Ne «L'albero» l'autobiografia di sé e dell'Italia senza trash

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Unadelle prime entrate nelle redazioni di cronaca o di giudiziaria, invece che relegate alle notizie mondane. Una capace di introfularsi col pancione nella ressa di San Pietro, ai funerali di Giovanni XXIII. Di fare l'inviato speciale quando era incarico riservato agli uomini. Sicché la sua storia, che racconta ne «L'albero» (Bompiani, 229 pagine, 11 euro, presentato oggi a Roma - via dei Prefetti 22, ore 18,30 - da Walter Pedullà e da Silvana Mazzocchi) è anche la storia, per squarci, dell'Italia da metà degli anni '50, quando vigeva ancora il delitto d'onore e le donne che se ne andavano di casa non potevano contare sull'aiuto della famiglia. Gaudio, pugliese, un nonno illustre avvocato e onestissimo fascista, un padre pure avvocato, ma antifascista, si laurea in filosofia (tra i suoi prof Aldo Moro, a sua volta allievo del nonno), si sposa minorenne, se ve viene a Roma e vive di collaborazioni con molti giornali, illustri come «Il Mondo» di Pannunzio. L'Albero di cui esamina di capitolo in capitolo i rami è quello della famiglia, ripercorsa con la nostalgia che soltanto ora che ha perso i suoi cari e che la vita si ripiega nei ricordi sente pungente. Un tema ricorrente - quello dei padri, della dimora dell'infanzia - in tanti ultimi libri, come «La casa sopra i portici» di Carlo Verdone. Ma Silvana Gaudio - approdata infine all'Ansa, dove ha lavorato per 30 anni - costella di incontri illuminanti il suo viaggio a ritroso. Ecco Giulio Einaudi, per niente scostante al contrario della vulgata; ecco Natalia Ginzburg, con la quale si ritrova a parlare di figli e diritti delle donne; ecco Mariangela Melato, informale, incapace di mentire anche durante il rito spesso autocelebrativo dell'intervista. Ecco i romanzieri, che Gaudio - veterana tra gli Amici della Domenica del Premio Strega - conosce bene. Sul piedistallo quelli di un tempo, informali, programmati, in scarpe da ginnastica, i giovani. Lei vola come un calabrone da un episodio all'altro con uno stile che fa bello il libro: rapido, senza sbavature, né aggettivi di troppo, incalzante e preciso sicché i passaggi più seri sono pregnanti e mai pesanti. Una femminista che odia gli eccessi da «utero è mio...», una giornalista onesta che aborre le risse in tv, il gossip ammannito come notizia. Abbandonò la collaborazione con Il Tempo quando il direttore succeduto a Gianni Letta le chiese un articolo su Ernesto Calindri, del quale ottantenne si chiacchierava l'infatuazione per una quarantenne. Troppo per lei. Li. Lom.

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