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Lidia Lombardi A vent'anni l'inchiostro è come il sangue.

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Ilblu che macchia la tasca del cappotto, perché la biro è senza cappuccetto. Il rosso della prof, un segnaccio che costa poi l'insufficienza, la sconfitta. L'inchiostro fa parte del passato bambino e adolescente. Per Lorenzo Cioce, vent'anni, l'inchiostro è anche una mania. Alla penna affida il respiro dei suoi versi, ché comunicare è vivere. Certe volte male, perché si affonda nel buio del cuore. Certe volte bene, perché il pensiero s'allarga e vola. Lorenzo Cioce intitola «Lo sprecainchiostro» la sua raccolta di poesie. E il braccio in cerca di un appiglio nella foto di copertina, con le scolature della materia prima per scrivere che sono vene espressioniste, già squarcia l'urgenza di parlare di un giovane uomo. C'è tanto che manca a Cioce, il «portiere letterato» perché gioca a pallone. Gli manca il compagno di liceo, adesso che studia a «La Sapienza»: «Manca il tuo incanto mattutino,/ la sorpresa del tuo solito suono squillante,/ oppure le tue cogestioni, le tue occupazioni che avevano il sapore/ di una ricreazione frizzante...». Gli manca, tragicamente, quella lei («Dio salvami ora che la mia compagna non c'è più/ ora che è arido il mio cuore/ ora che lei, la mia musa, è volata via verso un altro nettare/ fecondo e men triste del deserto/ che qui si stende»). Ma c'è pure l'osso inscalfibile delle presenze. La terra degli affetti, quel Molise del viavai in treno da Roma, e mentre sulla rotaia si mangia la distanza lui scrive e scrive versi inchiostrati. «Fortezza, emblema,/ cimitero, risorsa/ d'acqua, corrente di/ tradizione, storia,/ amore per il territorio», snocciola su righe brevi, come una ghirlanda di parole. C'è l'orgoglio d'appartenere a questo Paese, un grumo di coscienza civica, pur messa in dubbio dalle frane dell'oggi: «Non sarai mia madre, non sarai mio padre,/ né un amico, né una donna da corteggiare,/ ma sei mia dalla nascita» attacca in «Italia mia, non te ne andare». C'è la natura leopardiana di «Stella nascente» («Unica sei nel tuo andare, nel tuo sorridere/ a chi desidera con te,/ giocare./ Salti, corri mai fissa...»). Scrive nella prefazione Bruno Quaranta: «Lorenzo Cioce di tuffo in tuffo, di scommessa in scommessa, insofferente di qualsivoglia colonna d'Ercole». Ce ne fossero d'indomiti giovani-poeti così.

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