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Caro Bruno Vespa sei il Tacito dell'evo moderno

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Saràper questo che oggi, nel XXI secolo appeso alla comunicazione, il mettersi in scena del comando passa attraverso la televisione e i suoi salotti. Uno in particolare: quello candido, nel suo biancore scenografico che trasmigra al blu, di Porta a Porta e del suo conduttore: Bruno Vespa. Ieri il giornalista che - anni fa - Giuliano Ferrara sul Foglio definì "equivicino", ha festeggiato e spento la candelina della puntata numero duemila. L'ha soffiata via come si confà ad uno storico delle immagini, scarrellando audiovideo e giudizi d'autore sul suo programma, iniziato nell'inverno del 1996. Nel secolo scorso. Perché se Tacito è stato lo specchio della Roma imperiale che imboccava l'inizio della propria decadenza, senza saperlo, Bruno Vespa è lo storico catodico di una debacle, quella della politica italiana. Nel suo studio tra contratti con gli italiani e scrivanie vaganti, tra risotti di sinistra e polente lombarde si è consumato, suonata di campanello dopo suonata di campanello, maggiordomo dopo maggiordomo, delitto dopo delitto (la cronaca nera, per capirsi) lo smarrirsi lento dell'ars politica, dalla II Repubblica all'era tecnica. Un viaggio profondo e leggero, svagato e pesante, alto e basso, tra soubrette ed intellettuali, perché questo è lo spirito di un'epoca - la nostra - e non ci possiamo fare nulla. La II Repubblica è scivolata via tra una puntata e l'altra, infilzate dalle chiacchiere di Valeria Marini ma, soprattutto, dalla sua stessa leggerezza. Insostenibile per chi deve comandare. Anche per questo gli dei, in questi anni, son stati dalla parte di Vespa, lì con lui, a passeggiare dentro la tv. Lasciando perdere i nomignoli (Terza Camera e via discorrendo), due cose resteranno di queste 2000 puntate vespiane. Una riguarda l'innovazione del linguaggio, risalente alla Porta a Porta delle origini, umile e solenne già dal nome. Il porta a porta, in fondo, è la vendita più popolare che esista, fatta di campanello e socialità. Ma se gli metti la musica di Via col Vento diventa qualcosa d'altro. Eppure nei primordi della trasmissione si notava un'originalità: quella di accostare il messaggio politico, spesso verboso e complicato, al pubblico, anche agli spettatori più semplici. Quel tentativo schietto diventerà, nel tempo, liturgia di racconto su e del Potere. Mantenendo, qua e là, momenti di grande commozione come la telefonata del Papa, Giovanni Paolo II, annunciata dal bisbiglio in un italiano ammiccante al polacco, di Don Stanislao, segretario e amico di Woytjla. "Buonasera Don Stanislao, buonasera Don Stanislao". Come la Madonna, che appare solo a chi crede. Vespa tentenna, si commuove e infine il Pontefice appare al conduttore, in telefonica. Siamo, qui, ben oltre la televisione, dentro gli Annales per immagini, archiviati puntata dopo puntata, che ci raccontano l'Italia. Ha scritto il poeta Eugenio Montale: "Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". Un mal d'esserci che sembra cucito su misura sul Potere contemporaneo, talmente flebile da farsi definire in negativo. Per una polenta, una firma su un contratto, un risotto. E non per il suo esser capace di decidere, nel bene e nel male. Senza infingimenti. Anche per questo, buon compleanno caro, vecchio Vespa. Ti siamo "equivicini".

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