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di Lidia Lombardi L'inverno è stato duro di neve, la primavera è molle di pioggia.

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Edespolderanno tra pochi giorni, quando Castel Giuliano aprirà le porte per la annuale Festa delle Rose. Un borghetto, un palazzo del '500, prati che digradano, sfruttando le ultime pendici dei Monti della Tolfa. Il vento dell'interno si mischia con quello che viene dal mare. Le correnti fredde alle brezze del lago di Bracciano, lontano sette chilometri. Umido e sole, aria salmastra e di collina. L'habitat sul quale da trent'anni lavora Umberta Patrizi, la marchesa che ha scelto di vivere nella campagna acquisita nel Rinascimento dall'avo Giovanni, banchiere senese. «Erano 12 mila ettari con case e fortificazioni - spiega - poi ridotti per la riforma agraria. Io ho trovato uno squarcio bucolico. Un parco di cinque ettari con alberi spesso più che centenari che scende verso i campi, coltivati non intensivamente a grano». Gli aceri, i lecci, la roverella, i mirti, i corbezzoli, la pineta. Ha comiciato a lavorare da qui donna Patrizi. Non ha chiamato archistar dei giardini. «Ho solo risidegnato i dislivelli, per dargli assetto. Poi ho cominciato con le rose». Ne ha piantate di antiche, di botaniche, di rifiorenti moderne. Quelle rampicanti toccano dieci metri di altezza, incorniciano le antiche mura di Palazzo Patrizi, che con le due ali avanzate è un manifesto per l'accoglienza degli ospiti, mentre dentro le stanze con gli affreschi settecenteschi e i soffitti a cassettoni sono per l'esclusiva gioia della sua famiglia. «Ho voluto un giardino che fiorisse in ogni stagione, e che ogni stagione avesse il suo colore», racconta la marchesa. Così la primavera è lieve del bianco che circonda per tre lati il portale d'ingresso: sono i fiori della «Rosa banskiae», della soffice «Alba plena», della «Nevadaz» che si mischia con una spalliera d'edera, della «Wisteria sinensis Alba» che allunga i tralci sulle mura seicentesche dei contrafforti, delle piccole «Iberis sempervirens» che tappezzano aiuole. L'estate spazia su più colori, mischiati tono su tono, come per gli azzurri, le lavande o la rosa «Blu magenta» creata nel 1900. L'autunno svaria dal rossiccio al giallo degli ippocastani, degli aceri, dei liriodendrum sistemati attorno alla pineta. E l'inverno? «L'inverno è bellissimo - dice la castellana - perché si capisce il giardino, si svelano armonie e disarmonie. In questa stagione comprendo dove ho sbagliato». Ma in primavera la passeggiata s'allarga al Belvedere e alle Arancere, al prato del Fagiano e a quello Paradiso. Tra i cespugli, grotte scavate nel tufo, che qui è la pietra dominante. Sono i resti di insediamenti etruschi e nell'Ottocento erano ricoveri per gli animali. Ora in alcune è stata portata l'acqua, trasformandole in fontane. L'ultima sosta è nella chiesa seicentesca intitolata a Filippo Neri. «Una ex septem - ricorda la marchesa - del santo amico dei Patrizi». Il 12 e 13 maggio questo che è tra i maggiori roseti privati d'Italia ed è inserito nell'elenco degli ottanta «Grandi Giardini Italiani» di Judith Wade si spalanca al pubblico offrendo anche la mostra-mercato di rose.

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