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Se il segreto della felicità è mangiare ostriche al mare

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Algusto di vivere con intensità, con sensualità, con libertà ogni dono, anche il più piccolo, che la quotidianità ci offre. Perché questi «regali» altro non sono che il segreto della felicità, chicchi di quel sale che è l'essenza della vita stessa. E in un momento di crisi, di difficoltà generale e di privazioni, forse apprezzare le cose che non siamo più abituati neanche a guardare, può aiutarci a vivere meglio e soprattutto a sorridere di più. Almeno in fondo al cuore. A farci ritrovare la felicità che tutti conosciamo e malgrado ciò ci sfugge è l'antropologa ed etnologa, erede diretta di Claude Lévi-Strauss al Collège de France, Françoise Héritier, con il suo ultimo libro «Il sale della vita» (Rizzoli, traduzione di Francesco Peri, pag. 91 euro 6,00). Lo spunto per riflettere sul senso dell'esistere, lo offre all'autrice il suo medico che le scrive una cartolina dall'isola di Skye: «La mia settimana "rubata" di vacanze in Scozia». La parola «rubata» blocca il cuore dell'autrice che pensando a quell'uomo, che ha consacrato tutta la vita alla ricerca e agli altri, si rende conto che se si considera il proprio tempo come rubato da qualcuno non si può apprezzare più niente. Soprattutto quelle cose che danno il sale alla vita. E allora, l'africanista classe 1933, autrice dei celebri «Maschile/Femminile 1 e 2», colonna del femminismo francese, comincia a contarle. Il libro diventa un monologo interiore fatto di associazioni di idee in cui si alternano immagini, emozioni, aspirazioni, ricordi che nutrono l'anima e che spesso si condividono. Un semplice elenco di brevi momenti di felicità, di sorpresa, di ispirazione che spesso ci fanno sorridere, spesso ci danno un tuffo al cuore...lasciando fuori i grandi temi: professione, amore-passione, politica e religione. Momenti per cui vale la pena vivere, sempre oscillanti fra pubblico e privato, tra «annaffiare i fiori» e «scendere dall'aereo di notte a Niamey durante la stagione delle piogge e sentire l'odore caldo e speziato della terra africana», ovvero tra un piacere a disposizione di chiunque e uno che pochi possono condividere. All'autrice non serve la madeleine di Proust per richiamare alla memoria qualcosa, perché nella sua «lista», tutta di seguito senza punteggiatura, descrive quello che ha dentro, foto, suoni, odori, film, un bagaglio del passato pronto ad uscire in ogni momento del presente, davanti a una persona, a un sorriso, a un'immagine. Scomposta nel gioco degli attimi, la vita di Françoise Héritier è quella di tutti noi. E così nel catalogo, senza ordine gerarchico, delle minime cose che hanno reso e rendono la vita dell'autrice degna di essere vissuta, ci sono attimi di felicità e piaceri da sottoscrivere: ridere a crepapelle, piangere al cinema, gettarsi a capofitto in conversazioni senza fine con delle vecchie amiche, abbracciare, sentirsi pieni di slancio, lasciarsi trascinare da un impulso, ricevere un bel regalo, provare un paio di scarpe nuove, ballare, accoccolarsi, i baci sul collo... È sale della vita cedere ai piaceri della gola, mangiare ostriche in riva al mare, mangiare a ripetizione pistacchi, succhiare liquirizia, mangiare con le mani accovacciati attorno ad un piatto comune, un calice di vino bianco, un caffè al sole... Ma anche commettere piccoli peccati veniali: poltrire a letto il mattino, imprecare come un carrettiere, stiracchiarsi... O apprezzare la natura: annusare l'aria fresca all'alba, sfiorare le mimose, raccogliere le more, restare in estasi davanti a un fiore di ibisco, farsi camminare una coccinella sul dito, guardare il fuoco che arde, sentire il profumo delle brioche calde per strada. E per dare una mano al suo medico, la Héritier continua l'elenco. Vale la pena vivere per assistere alla processione del Corpus Domini con le bandiere alle finestre e le ceste piene di petali di fiori, ricordare di aver pianto leggendo «Senza famiglia», camminare per strada e sentire all'improvviso l'odore della Colonia che usava la nonna, restare assorti di fronte alle spatolate spesse dei giaggioli viola di Van Gogh, ritrovare una foto in bianco e nero di tanto tempo fa, sdilinquirsi di fronte al sorriso di Brad Pitt, sentirsi sciogliere di fronte al contegno devastante di Robert Redford in «La mia Africa» o l'insolenza altrettanto devastante di Clark Gable in «Via col vento», sedere al sole a Piazza Navona in febbraio, non vergognarsi mai di essere se stessi, salire sui campanili di Notre-Dame e sognare di visitare Machu Picchu... Il fiume in piena dei verbi all'infinito dell'autrice mi/ci travolge perché è la nostra esistenza e anche per noi è vitale andare a prendere i figli a scuola, essere felici quando lo sono i nostri figli, provare emozioni fortissime ma sforzarsi di non lasciar trasparire nulla, arrossire e prendersela con se stessi, essere stupidamente felici per qualcosa che si è appena fatto... Come spiega l'antropologa nessuna speculazione metafisica o meditazione profonda sulla vanità dell'esistenza o sulla vita intima di tutti noi. Eppure un modo per scoprire il proprio «io» più profondo, l'«io» che non è soltanto il soggetto che pensa e agisce, ma anche quello che sente, percepisce e ricorda. Françoise Héritier ci invita a imparare a far tesoro dell'esistenza quotidiana ritagliando momenti di tale leggerezza e gusto da diventare «Il sale della vita». Forse a tutti noi, ad un certo punto della vita, sarebbe utile un taccuino per annotare intuizioni, passioni, piaceri, attimi di felicità, istantanee di un'esistenza... E in questa specie di diario dei pensieri persi riscoprire la quasi assurda bellezza dell'essere vivi.

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